ALP aderente a AGL Alleanza Generale del Lavoro (confederazione sindacale dei lavoratori) codice fiscale: 97624870156; atto costitutivo (e statuto) registrato presso l'Agenzia delle Entrate, DP I MILANO-UT di Milano 1, in data 04/06/2012, serie 3, n.7107- sede naz.le:Via Antonio Fogazzaro 1, sc.sin. 3° piano, 20135 Milano, tel.3349091761, fax +39/1782736932, Whatsapp 3455242051, e-mail agl.alleanzageneraledellavoro@gmail.com ; e-mail certificata: alleanzageneraledellavoro@pec.it

sabato 23 marzo 2013

CREDITI DELLE IMPRESE FORNITRICI NEI CONFRONTI DELLA P.A.: CI SIAMO DIMENTICATI L'ISTITUTO DELLA “COMPENSAZIONE” TRA CREDITI E DEBITI VERSO L'ERARIO?

Qualche tempo fa evocammo una bufala per qualificare la novità della Srl “senza spese notarili “(ma con carico fiscale intatto) . Ecco possiamo ora dire che grazie a Passera quella bufala ha trovato il marito: il “rimborso” alle imprese dei crediti vantati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. E' un coro di lamentele e delusioni da parte di tutte le organizzazioni datoriali e le grandi e piccole imprese. Perfino l'ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha preso coraggio e dopo la bufera Mussari il nuovo presidente ha sfacciatamente partecipato al coro criticando il governo. Come si diceva in campagna (continuiamo nel filone zootecnico”) è un po' “il bue che dice cornuto all'asino”.
Ma ciò che è più comico è il seguito. Data per scontata l'impossibilità di trovare i soldi occorrenti per tener fede alla promessa (che, al contrario della restituzione dell'IMU, era stata fatta da tutti in campagna elettorale) è un fiorire di ipotesi su quale sia il soggetto cui infliggere il salasso. In particolare ora si parla delle entrate dei Comuni e delle Regioni (non si parla per pudore delle provincie che tutti danno per abolite e invece sono ancora lì come se niente fosse).
Nessuno ricorda invece che il problema sarebbe già risolto se si consentisse piena e generalizzata applicazione di un principio di civiltà da anni recepito nella nostra normativa: la possibilità che il contribuente (tali sono le imprese di cui si parla) possa compensare i debiti verso l'Erario con i crediti vantati nei suoi confronti. Certo, diminuirebbe di colpo il gettito e questo non potrebbe permetterselo una macchina burocratica ipertrofica e autoreferenziale, difetti dei quali abbiamo parlato più volte in altri interventi. Indicando anche la soluzione: riorganizzando da zero la Pubblica Amministrazione, costringere le banche, se necessario minacciandole di esproprio, a concedere credito alle imprese, smetterla di ammazzare di tasse il Paese. E se fosse proprio questo l'oggetto del contendere e il motivo dello stallo politico?


domenica 17 marzo 2013

L'ANCI HA RAGIONE: SBLOCCHIAMO I PICCOLI CANTIERI

In Italia 20.000 cantieri sono fermi per colpa del patto di stabilità interno.Nove miliardi di euro fermi che se sbloccati potrebbero aiutare i consumi delle famiglie e la salute delle imprese.
Ci associamo all'appello dell'ANCI Associazione dei Comuni Italiani. I Comuni sono pronti a sforare il patto di stabilità. L'Anci farà una manifestazione il 21 marzo a Roma per protestare contro il Patto di stabilità interno . L'AGL aderisce a tale iniziativa che punta ad ottenere una deroga una tantum a livello europeo visto che abbiamo un avanzo primario tra i migliori dei paesi europei. Dunque, un rinvio del pareggio di bilancio.


ECONOMIA: SAPER DISTINGUERE TRA FALSE E VERE SOLUZIONI

Concordiamo con chi osserva che la pur vituperata cura Monti stia producendo, a confronto con altri paesi, pure indebitati meno di noi, un miglioramento relativo della nostra situazione, facendo riferimento al tasso di crescita del debito, al debito aggregato, alla solidità patrimoniale e all'avanzo primario. E ci richiama al rischio che una minore crescita del debito, però, possa condurci ad una maggiore recessione. Pure sul fatto che la maggiore pressione fiscale porti a minore competitività e minori consumi. I dati della nostra industria manifatturiera, della meccanica, dell'agricoltura, rapportati a quelli della concorrenza internazionale, sarebbero confortanti se non fosse per il crollo del nostro mercato interno e per lo svantaggio fiscale comparato delle nostre aziende. La soluzione potrebbe essere quella di forzare i vincoli europei accelerando i pagamenti alle imprese dei debiti della PA e frenare la pressione fiscale. Ma quest'ultima , se attuata, comprometterebbe, riducendo il gettito, la possibilità, per lo Stato, così come organizzato (male) di effettuare i primi. Ecco perchè riteniamo che le vere soluzioni siano due: riorganizzare da zero la Pubblica Amministrazione perchè è solo lì che possono aversi veri risparmi e combattere e vincere la guerra contro il credit crunch iniziando, come Stato, a minacciare di esproprio e nazionalizzazione le imprese bancarie che perseverassero in questa condotta restrittiva del prestito alle imprese e alle famiglie. E' questa la vera, ultima battaglia, da vincere per riappropriarci del nostro destino. Più urgente della riforma elettorale (che non faranno), della riduzione dei costi della politica (importante per il segnale, non per le quantità) e dell'inseguimento di fantasmi analoghi.
La discriminante vera dello scenario politico nell'immediato futuro sarà tra chi vorrà veramente combattere questa guerra nello Stato e nelle Banche e chi non avrà interesse a farlo, resistendo passivamente e in maniera opportunistica ed attendista. Il contesto potrà essere di ripresa dalla crisi o , come si mormora, di fallimento e rovina, ma questo non è prevalentemente nelle nostre mani. La battaglia interna, invece, si.


ISPEZIONI ALLE COOPERATIVE: TUTTO BLOCCATO PER UN MALINTESO TRA COLLEGHE DIRIGENTI (“IO VORREI...NON VORREI...MA SE VUOI...”)? SOLO QUESTO O C'E' DELL'ALTRO?

L'8 marzo 2013 con una banale e-mail il Ministero dello Sviluppo Economico ha comunicato a tutti gli ispettori di cooperative in servizio presso il Ministero del Lavoro che gli stessi non avrebbero da quel momento più svolto ispezioni su tali società, comprese le ispezioni straordinarie.
Non si ha notizia di interventi da parte dei sindacati interni al Ministero dello Sviluppo Economico, si sono mossi invece solo tre dei sette sindacati “rappresentativi” (cioè che hanno superato la soglia del 5%) interni al Ministero del Lavoro con un comunicato ossequioso nel quale premettendo (come si usa fare da anni da parte dei sindacati ministeriali, notoriamente più realisti del re) di non volere entrare nelle valutazioni di un altro Ministero ,cioè del dirigente responsabile, hanno chiesto di risolvere il problema e un urgente incontro. Silenzio da parte di tutti gli altri soggetti potenzialmente interessati, sia all'interno che all'esterno della Pubblica Amministrazione.
Con insolita prontezza, sei giorni dopo, parte una lettera del Ministero del Lavoro al Ministero dello Sviluppo Economico che la dice lunga sullo stato pietoso a cui è giunta la dirigenza ministeriale oltre alla colpevole irresponsabilità del livello politico.
Non sapendo a cosa attaccarsi per rassicurare i sindacati interpellanti, la dirigente non trova niente di meglio che rispondere all'altro ministero basandosi su una allusione contenuta nella email da cui si capirebbe che l'una avrebbe interpretato male una circolare dell'altra. In sintesi: c'è una nuova norma anti corruzione, il Lavoro emana una circolare applicativa che richiama l'attenzione sulle attività extra istituzionali dei funzionari, lo Sviluppo Economico (abituato a rapportarsi agli imprenditori, quindi ad andare al sodo) capisce che deve staccare la spina agli ispettori di cooperative dell'altra Amministrazione. Alla fine, pure la dirigente chiede un incontro alla collega che ancora non si sa se verrà concesso e se sarà risolutivo. E i tre sindacati (per carità, accontentiamoci, una volta giravano- o giravano loro - la testa) stanno a guardare. Figuriamoci gli altri quattro che sono rimasti silenti. Così come le Centrali cooperative che fino a poco tempo fa sbraitavano contro la concorrenza sleale delle cooperative non aderenti insufficientemente vigilate. Come le Confederazioni Sindacali nostre concorrenti, con i loro partner datoriali di riferimento, autrici di campagne contro il dumping contrattuale. Così come i sindacati antagonisti, che nelle cooperative sono molto attivi, così come le istituzioni pubbliche, che con le cooperative stipulano contratti di appalto. Eppure le cooperative sono al centro delle grandi opere, della TAV , di Expo 2015, dei lavori pubblici, così come nell'edilizia (ricordiamo scandali recenti), nel Consumo (le famose Coop della pubblicità), nell'agricoltura, nel godere di agevolazioni e contributi di vario tipo, nel Sociale, nei Trasporti e nella Logistica. Neppure alla politica questo avvenimento sembra interessare, in quanto si è distratti da ben altro. E per fortuna che il Governo Monti, Passera e la Fornero sono rimasti in carica solo per sbrigare gli affari correnti...
Questo in realtà è il terzo grande attacco alla vigilanza cooperativa. Nel 2003 un gruppo di dirigenti del Ministero del Lavoro ritenne di dover “smantellare” questa funzione dal Ministero, perseguitando per tre anni gli ispettori in attività, in quanto voluto da non meglio precisate entità politiche e sociali. Nel 2007 avvenne per due anni un blocco di fatto attuato da dirigenti delle Amministrazioni del Lavoro, dello Sviluppo Economico e dell'Economia, interrompendo a livello nazionale le assegnazioni di incarichi giustificando ciò con la mancanza di fondi, dirottati chissà dove (in realtà soldi pagati dalle cooperative con un sostanzioso contributo biennale di revisione).
Ora, guarda caso, in un momento in cui sta per divenire presidente del consiglio il più grande “amico” delle cooperative nello schieramento politico italiano, in cui le cooperative aderenti alle Centrali sono impegnate in appalti , sopra ricordati, di grandissima rilevanza e in cui alcune cooperative non aderenti hanno ripreso alla grande a svolgere attività non autorizzata di somministrazione di lavoro (per lo più straniero, sfruttato, sottopagato), la cooperazione spuria viene utilizzata per dirottarvi lavoratori in esubero per crisi aziendali, una serie di interessi trasversali vanno ad incrociarsi e a perseguire un unico obbiettivo: quello che vi siano meno occhi possibili (anzi, nessuno) a controllare se le cooperative si comportino correttamente. Siamo alla vigilia di altri due o tre anni di paralisi? Ecco, ci piacerebbe che chi è stato eletto al Parlamento in nome del nuovo che avanza ci dimostrasse di essere capace di iniziare a infilare il dito nella piaga. Per esempio togliendo alle Centrali la possibilità di effettuare i controlli sulle proprie cooperative e demandando tutta l'attività allo Stato, utilizzando appieno la forza ispettiva presente nel Ministero del Lavoro. E mandando a casa d'ora in poi (preavvisandolo, come gradiscono al Ministero del Lavoro) qualsiasi dirigente che remasse contro agli interessi della propria, delle altre amministrazioni e della collettività (in questo caso, i cittadini che ripongono fiducia nelle cooperative). Come avrete capito, siamo italiani e amiamo il contropiede.

AGL Ispettori di Società Cooperative


domenica 10 marzo 2013

CODICE DI COMPORTAMENTO PER GLI STATALI: INADEGUATO A MIGLIORARE I RAPPORTI CON LA PA, ALL'INDOMANI DELLA TRAGEDIA DI PERUGIA

A parte un dettaglio ormai consueto (la mancata consultazione, per altro non prevista come obbligatoria dalla norma di riferimento dei sindacati rappresentativi, di cui ci onoriamo, ormai si sarà capito, di non far parte) la prima anomalia che a noi salta all'occhio, parlando di questo nuovo codice, è l'asserita sua “novità”. Intendiamo dire che è veramente stupefacente che finora non fosse esistito, in maniera generalizzata, per tutti gli statali, un codice di questo tipo. In realtà qualcosa esisteva (ed esiste) su questi argomenti: una serie di circolari della funzione pubblica o delle varie amministrazioni che costituiva un insieme abbastanza disordinato di disposizioni nate per reagire a comportamenti censurabili che però non si colpivano (non si volevano colpire) perchè mancava, a priori, la regola generale (cioè riguardavano persone che non era opportuno colpire). E' a suo modo (in Italia abbiamo inventato pure questo) una specie di Testo Unico delle circolari (con buona pace di coloro che ritenevano che le circolari non avessero autonoma forza normativa).Quindi , prima perplessità, prima non esisteva nulla del genere. Forse, considerando che siamo nel 2013, c'è stato un po' di ritardo. Seconda perplessità: l'atto è stato adottato da un governo tecnico che poi si è scoperto guidato da un politico schierato, non prima ma dopo le elezioni , per evitare evidentemente di perdere qualche voto. In Italia attendiamo da tempo una legge seria contro la corruzione, una legge efficace contro il conflitto di interessi, una razionalizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione in nome di un giusto risparmio in presenza del debito pubblico che tutti conosciamo. Evidentemente però la montagna ha partorito un topolino: blocco degli stipendi a tutto il 2014 per gli statali, questo codice di comportamento, esuberi a migliaia di poveri cristi di impiegati pagati con un sussidio, amministrazioni che crescono nel numero, spese della PA che aumentano con riferimento all'acquisto di risorse. La digitalizzazione è un miraggio che neppure il varo tardivo in questi giorni dell'agenda da parte di Passera ha reso più tangibile: non ci crede, in realtà, nessuno.
Altra stranezza. Se intendiamo quella degli statali come una categoria omogenea (qualcuno parla di casta) che necessita di un recupero di credibilità , anche in presenza di una autorevolezza della PA che è crollata verticalmente, ebbene, calare un codice di questo tipo dall'alto (strano che qualcuno non se ne sia accorto) cancella definitivamente ogni credibilità della categoria verso l'esterno. Per il semplice motivo che non è altro che la codificazione di una serie di banali regole di buon senso imposta ad una massa che evidentemente è assimilata dal Governo ad un gregge di pecoroni disubbidienti e indisciplinati, oltre che fannulloni. Se ci pensate bene, neppure Brunetta era giunto a tanto. La sua guerra dava dignità alla categoria, cui si riconosceva una pericolosità propria di un nemico altrettanto forte come l'ex ministro. Qui si è tornati al passato, al quarantennio democristiano se non addirittura al ventennio. L'unico scopo è quello di avviare una escalation disciplinare con valenza essenzialmente espulsiva che sia d'ausilio all'operazione esuberi evidentemente debole nei suoi presupposti.
In realtà sarebbe stato salvato l'onore degli statali (riconosciamo però che la cosa non ha molto destato il loro interesse) l'adozione, come fanno le più importanti categorie professionali, di un codice di autoregolamentazione, che fosse recepito in un atto normativo. Esisteva un livello di mediazione per realizzare ciò: quello dei sindacati rappresentativi che però non hanno avuto il coraggio (o forse solo la prontezza di riflessi) di anticipare il governo su questo terreno. E, per inciso, nasce spontanea una domanda che ci permettiamo , come organizzazione sindacale nata da 9 mesi, di rivolgere ai nostri 3 milioni di colleghi: se la contrattazione e gli stipendi sono bloccati e se neppure su questo il governo desidera conoscere l'orientamento dei suoi “collaboratori” e dei loro sindacati, voi a marzo dell'anno scorso cosa avete votato a fare nelle elezioni delle RSU?
Il resto sono particolari. Ridicolo il limite ai regali ma soprattutto la differenziazione interna sulla base delle mansioni e dell'amministrazione di appartenenza. Gravissimo (e sintomatico) invece che non sia passato l'altro decreto che era in programma , quello che prevedeva limitazioni per i soli dirigenti, relativo alle condanne penali subite e al passaggio da ruoli politici alla dirigenza. Così come una inammissibile limitazione della libertà e della privacy quella di dichiarare a quali associazioni si sia iscritti. C'è chi subito ha inneggiato a una nuova storica svolta nel rapporto tra cittadini e PA. Caso vuole che questo codice abbia visto la luce casualmente in coincidenza dell'uccisione, a Perugia, presso la Regione Umbria, di due incolpevoli impiegate da parte di uno squilibrato le cui condizioni di salute certo non sono state migliorate (anzi) dal rapporto da lui avuto, negli ultimi mesi con la macchina burocratica. Rivolgiamo un pensiero alla memoria delle due povere colleghe, auspicando che fatti così terribili non abbiano a ripetersi. Diciamo però al Ministro Patroni Griffi , al suo successore e alle forze politiche di non dimenticare mai che la crisi nel rapporto tra cittadini, lavoratori, imprese e la PA non è tanto provocata dal patetico “lei non sa chi sono io” né dalla penna regalata al dirigente ma dal mancato pagamento dei debiti della PA ai privati, dalla durata biblica dei procedimenti, dai disservizi, dall'infedeltà e dalla corruzione. Non aiutano a risolvere ciò gli stipendi da fame degli impiegati, il blocco dei contratti, l'ottusità di certi dirigenti. Speriamo che i sindacati rappresentativi , da voi scelti nella scorsa tornata elettorale, sappiano adeguatamente parlare al nuovo governo di queste questioni.

ESODATI: QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA FLAVIA

In altri interventi abbiamo sostenuto (e ci rincresce di farlo da soli ma forse è la prova che siamo estranei alla politica elettorale) che occorrerebbe (data la gravità del debito pubblico) cominciare a affrontare la questione esodati da un punto di vista diverso da quello meramente previdenziale (di fatto trasformatosi in assistenziale) , ragionando su soluzioni alternative e dinamiche, anche al di là delle sabbie mobili dei diritti acquisiti nonché delle umane aspettative di chi qualche tempo fa si era organizzato la vita in una maniera per vedersela sconvolta dall'intervento di una fino ad allora sconosciuta professoressa torinese.
Abbiamo dato per ormai acquisito che le elezioni non le ha vinte nessuno, neanche quello schieramento che con più forza aveva messo sul piatto la questione esodati pur non riconoscendo, in maniera autocritica, che se non avesse sostenuto la riforma Fornero coi suoi voti in Parlamento, la stessa non avrebbe rovinato la vita (chissà per quanto tempo) a quelle migliaia di italiani.
Il cerino quindi, suo malgrado, finchè non ci sarà un'altra compagine, è ritornato in mano all'inquilina di Via Flavia (in realtà Via Veneto) . E ormai, sugli esodati, è consumato e il fuoco sta cominciando a bruciare la mano. Il perchè è presto detto.Ricordate i 130.000 esodati riconosciuti dalla Fornero (una parte dei 390.000 stimati dall'INPS) in un certo senso fortunati in quanto solo per loro sembrava partito un meccanismo di salvaguardia?Due decreti già li hanno interessati (salva-italia e spending review) e un terzo sta per essere emanato come conseguenza della legge di stabilità. Ebbene nessuno dei 130.000 , per un motivo o per l'altro, ancora ha ricevuto l'assegno (cioè i soldi) . Solo una piccola parte ha ricevuto la comunicazione di avere il diritto (per ora dovranno accontentarsi di mangiare quella). Ma, come onestamente fatto da noi presente in precedenti interventi, ogni ministro ha l'alta dirigenza che si merita (anche quella per il momento è rimasta impermeabile agli sconvolgimenti elettorali: non si è superpremiati a caso...):entro il 20 febbraio le aziende dovevano comunicare al Ministero del Lavoro i nominativi dei lavoratori che sono stati incentivati all'esodo entro il 31.12.2012. Tutto saltato (se ne facciano una ragione le decine di migliaia di lavoratori coinvolti i quali, siamo sicuri, non ne saranno sorpresi) in quanto al ministero si sono dimenticati di fornire le istruzioni necessarie all'invio delle segnalazioni. Quando si dice essere all'altezza delle sfide e raggiungere gli obbiettivi.

RIFORMA DEL LAVORO POST ELEZIONI (ARTICOLO SCONSIGLIATO PER I SOGGETTI IMPRESSIONABILI)

Come noto, non è emerso un vero vincitore dalle elezioni italiane. Là dove, su specifici temi, tra uno schieramento e l'altro ,vi erano sensibili differenze, ciò dovrebbe essere di conforto per chi temeva, trattandosi di rimedi tutti peggiori del male, che un punto di vista avesse prevalso sull'altro. Un esempio è quello delle politiche del lavoro. Chi avreste buttato giù dalla torre tra i Ministri del Lavoro in pectore, ognuno di un diverso schieramento? Ossia tra Sacconi/Cazzola, Ichino/Fornero, Dell'Aringa/Damiano/Vendola, x/y (grillini)? Poiché siamo contro le soluzioni violente avremmo preferito buttarci noi, per non spargere sangue altrui. Ma il bello è ora che per arrivare a un compromesso è possibile che un dato schieramento, pur di non perdere il governo, sia disposto ad adottare le tesi lavoristiche dell'altro schieramento. Facile, se si pensa che si tratta di soluzioni inadeguate, irrealizzabili o fallimentari. Diciamo che anni di esperienza , anche recente, ci hanno sicuramente indicato cosa non fare. E' implicito che la verità sia in comportamenti differenti. Quali?Adesso non chiedeteci troppo. Anche perchè nelle politiche del lavoro si potrà fare qualcosa di valido a condizione che già si siano fatte altre cose, apparentemente distanti dall'ambito di competenza del Ministero di Via Flavia. Primo criterio: mandiamo in vacanza (una volta si parlava di anno sabbatico) tutti i giuslavoristi italiani (che non hanno scuse perchè o hanno fatto i ministri o ne erano i bracci destri). Facciamo a meno di loro in quanto i risultati raggiunti dalle riforme tentate dagli anni novanta ad oggi ci hanno dimostrato che questi scienziati ancora hanno tanto da studiare (soprattutto la realtà del mondo del lavoro) e in queste condizioni fanno solo danni. Se gli ingegneri si dimostrano incapaci forse sarà il momento di dare un po' di spazio ai geometri: non si sa mai che riescano ad indovinarci. Poi: evitiamo di creare nuovi equilibri, tra una forma e l'altra di lavoro, operando sulla dialettica più costi/meno costi, svantaggi/vantaggi. E' il mercato del lavoro (di solito più veloce di chiunque altro) a stabilire, a posteriori la validità dell'una o dell'altra soluzione. In genere quella che vince è la soluzione più semplice, meno burocratica e meno foriera di tasse variamente travestite. Ecco, questo crediamo potrà essere il vero merito storico della riforma Fornero: costituire in un certo senso la Bibbia di tutto quello che non va fatto sul lavoro, un gigantesco ed insuperabile esempio in negativo che in quanto tale è perfetto come un opera d'arte e sarà studiato dai posteri. Chiedere ai consulenti del lavoro per averne conferma. Altra cosa da non fare: attribuire valore al lavoro stabile e disvalore al lavoro non stabile. Abbiamo già detto più volte che vanno considerate con il massimo rispetto le esigenze di chi ha o ha avuto il posto fisso e si aspetta di mantenerlo fino ad una pensione che sia più dignitosa di adesso così come di coloro che sono in debito con la società (pensiamo ai precari della scuola) per aver fatto parte, loro malgrado, di una umanità sfortunata in cui sono stati illusi da un miraggio, quello appunto, del posto fisso. Queste fasce di popolazione non vanno punite ma accompagnate verso un miglioramento, graduale , della loro condizione. Sarà difficile (sappiamo quale peso abbia il debito pubblico) ma va fatto innanzitutto per un principio di dignità. Ma arriverà il momento (e su questo dobbiamo deciderci a voltare pagina) che nella società italiana non esistano più i termini “posto fisso” e “lavoro precario” così come oggi intesi. Quella è la direzione verso cui andare, certo, gradualmente. Un lavoratore quindi che abbia sempre una fonte di reddito anche nei periodi di passaggio, la possibilità di cambiare serenamente il lavoro più volte nella sua vita, di fare carriera, di formarsi, di migliorare. Sia nel pubblico che nel privato. E questo, in un prossimo futuro dovrà valere per tutti. Perchè l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul posto di lavoro. Parimenti non dovrà esistere più di fatto il concetto di precario sinonimo di ricattato, malpagato e sfruttato e senza prospettive di serena esistenza. Su questa, che è innanzitutto una battaglia culturale, constatiamo che nessuno è impegnato seriamente. Male, poiché significa che si stanno difendendo rendite di posizione o si sta sfruttando la disperazione delle fasce più marginali del mondo del lavoro. Di solito per guadagnarci sopra . E, soprattutto ora, per fini elettorali. Analoga apertura mentale è ora sia adottata sulla questione pensioni. Qui notiamo passi in avanti rispetto alle appena ricordate contraddizioni relative ai lavoratori attivi. Si è giustamente seguita l'indicazione di rapportare l'età pensionabile alla aspettativa di vita. Ancora non si è fatto nulla (anzi si è registrato un peggioramento) nel comprendere che l'attuale meccanismo non va più bene (e sarà sempre peggio) per poter assicurare un livello di vita sufficiente ad ogni singolo pensionato. Anche qui paghiamo l'eccessivo credito dato in questi decenni agli scienziati pazzi. Ma prima o poi la situazione esploderà e come accade occorrerà mettersi a correre per evitare di sprofondare nella voragine e per fare in pochi secondi quel che ci si è rifiutati di fare per anni. Non è questa la sede per trattare col giusto approfondimento temi così delicati ma , intuitivamente, chi volesse mettersi seriamente a studiare per sciogliere questo nodo non potrebbe prescindere dall'affrontare alcuni tabù che prima o poi verranno infranti. Il primo è quello dei cosiddetti diritti acquisiti. E' la giustificazione oggi più forte alle peggiori schifezze tuttora presenti nella giungla pensionistica. E, temiamo, sia una giustificazione strumentale, interessata e non più tollerabile. Così come avviene per esigenze di ordine pubblico, è bene si cominci a pensare a leggi eccezionali anche per abbattere privilegi pensionistici non più sopportabili per la gran massa della popolazione. Dobbiamo deciderci cioè se questo paese lo vogliamo salvare o no. Poi, collegato a quanto appena detto e alla vicenda esodati , forse è arrivato il momento di pensare di trovare dei rimedi per cui anche chi ha maturato il diritto alla pensione possa se lo vuole e non rimettendoci tornare nel mondo del lavoro regolare (e non solo di quello nero come oggi accade). Ripetiamo, possono apparire affermazioni scandalose e dissacratorie, ma sarà ciò di cui si parlerà quando si accorgeranno che non ci sono più soldi per venire incontro a tutti gli esodati. Non date retta a chi vende analisi interessatamente confuse: non esiste concorrenza tra vecchi e giovani, non esiste mancanza di lavoro indotta dalla crisi . La realtà vera è che la concorrenza c'è tra chi ha voglia di lavorare e mettersi in gioco e chi ha un atteggiamento passivo. E che la crisi di lavoro è la crisi di creazione di posti fissi. Chi conosce la realtà sa che è così e il rifiuto dei partiti e dei sindacati di accettare questa verità deriva dal fatto che questo meccanismo, se liberato, provocherebbe l'inutilità della macchina burocratica, dei posti assegnati in maniera clientelare, dell'assistenzialismo e del parassitismo (politico e sindacale). Altro tabù da abbattere sarà quello delle retribuzioni. L'art. 36 della costituzione è inadeguato e irrealistico. Così come l'apparato dei CCNL. Occorre, siamo in emergenza, che venga posto un tetto alle retribuzioni massime e vengano innalzate quelle minime ossia i salari e gli stipendi dei lavoratori e le pensioni degli anziani. E che venga assicurato un reddito minimo a chi momentaneamente non lavora. Dove si trovano i soldi? Basterà fare un gigantesco sondaggio in rete a costo zero perchè i riflettori si accendano su situazioni di privilegio e spreco di cui giornali e TV spesso non parlano. Basta volerlo. Da ultimo , un consiglio: non fidatevi di economisti e giuslavoristi falliti, personaggi tragicomici che o portano sfiga o fanno la figura patetica di meteorologi che non azzeccano mai il tempo che farà. Noterete che in questi giorni scrivono a iosa bocciando alcune proposte innovative che finalmente hanno avuto una consacrazione elettorale. I poverini non hanno capito che l'adozione del “ceteris paribus” nel calcolare gli effetti di ipotizzate novità è inadeguata all'esigenza di porre mano a situazioni nelle quali diversi fattori devono cambiare contemporaneamente. Questi signori non sono altro che i catastrofisti del giorno dopo, quelli chiamati a rimediare al fallimento dei menagrami e delle cassandre del giorno prima che non sono stati sufficientemente bravi nel mantenere la dote di consenso elettorale ai partiti che gli assicurano lo stipendio.

domenica 3 marzo 2013

QUASI SICURO: BLOCCO STIPENDI STATALI FINO A TUTTO IL 2014!

Ci sono state le elezioni, il parlamento è spaccato in tre pezzi e mezzo che se ne sono dette e se ne dicono di tutti i colori, è possibile governare ma solo da parte di maggioranze contro natura. Questo è emerso dal dopo voto. Solo 3 certezze per il momento: il Governo Monti sarà in carica fino all'avvento (non si sa quando) del nuovo governo, Napolitano non può sciogliere le Camere, si prenderanno solo i provvedimenti indifferibili. Uno di questi è quasi sicuro: nel Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo verrà deciso il prolungamento del blocco degli stipendi, per gli Statali, fino a tutto il 2014.Sarebbe il quinto anno consecutivo in cui ciò accade e i già striminziti stipendi dei non dirigenti rischiano di diventare qualcosa di molto simile agli attuali assegni sociali. Accadrà pertanto una cosa molto semplice: il potere di acquisto di questa categoria scenderà ai minimi storici e senz'altro non saranno i 3 milioni di statali a contribuire, nei prossimi mesi, alla ripresa dei consumi.E non si sa neppure se servirà a qualcosa, in quanto sulle soluzioni per fronteggiare disoccupazione, recessione, debito pubblico le proposte sono numerosissime (praticamente tutte quelle riportate nei manuali di economia) ma su quali saranno quelle scelte è buio pesto. E tutti si discolpano, dicendo che la responsabilità non è loro ma degli elettori che votando non hanno scelto la via da intraprendere.In questo contesto, le dichiarazioni di alcuni dirigenti di sindacati confederali che preannunciano ondate di scioperi nel Pubblico Impiego ci sembrano penose e la dicono lunga sul livello a cui è precipitato il Sindacato italiano, incapace di utilizzare la sua grande forza per imporre soluzioni convincenti per il Paese. E' forte il rischio che la gente cominci veramente a pensare di poter fare a meno dei Sindacati, data la loro dimostrata inutilità. Poi ci si lamenta delle spinte populistiche e irrazionali, quando è l'impotenza di questi signori a non lasciare scelta.

DIRIGENTI: SHOCK OCCUPAZIONALE, CRISI PSICOLOGICA.ANCHE OBIEZIONE DI COSCIENZA?

Da anni la categoria dei dirigenti è stata considerata di fatto protetta e super garantita. In particolare la libera recedibilità non ha mai significato maggiore esposizione ai licenziamenti. Anzi. Per antonomasia, durante le tempeste economiche e le crisi produttive, erano sempre coloro che erano sul ponte della nave (lavoratori manuali e impiegati) ad essere spazzati via dalle ondate mentre la testa delle aziende, ben riparata in plancia, la faceva sempre franca. Ebbene, anche questo in Italia è cambiato, in fretta. Si parla di 10.000 dirigenti che hanno perso il posto di lavoro nel 2012 , di 60.000 dal 2006.
E' vero che quando ciò accade, dal punto di vista individuale, si tratta di un dramma non paragonabile, neppure lontanamente, a quello della perdita del lavoro da parte di un operaio o di un impiegato. Perchè il dirigente aveva uno stipendio di diverse volte superiore a quello di sussistenza (ossia a quello dell'operaio), perchè se, come capita spesso, i lauti guadagni sono stati investiti in maniera oculata (e i dirigenti hanno la cultura per farlo) , la riserva di sopravvivenza non si esaurisce in breve tempo ma può consentire di affrontare con calma la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Perchè, sempre che non si tratti di un dirigente raccomandato (e quindi più ignorante dei propri dipendenti) si presuppone che lo stesso abbia una cultura di base e una professionalità superiore alla norma e quindi spendibile nella ricerca di un nuovo lavoro.
Ma anche qui qualcosa è cambiato, facendo precipitare nell'incertezza e nell'inquietudine molti dirigenti che hanno perso il lavoro e intimorendo, nei confronti delle rispettive proprietà, quindi rendendo più ricattabili, i manager che sentono odore di possibile esonero. Ciò nel privato, ma anche nel pubblico, al netto delle cordate e protezioni politiche, dato il processo di privatizzazione (seppure all'italiana) dei rapporti di lavoro, non sono infrequenti accadimenti traumatici attutiti per lo più però, in conseguenza delle fonti informative messe a disposizione da parte di chi ti mise su quella poltrona, da trasferimenti strategici da una Amministrazione all'altra che implicano la sostanziale stabilità della posizione dirigenziale. Ovviamente, in questo quadro, nel pubblico, i principi di trasparenza, efficienza, efficacia e raggiungimento dei risultati posti, diventano molto, molto relativi. A proposito (lo facciamo in ogni nostro intervento riguardante la dirigenza pubblica) siamo ancora in attesa che sui siti istituzionali, oltre alle retribuzioni tabellari e ai curriculum, vengano non solo riportati i premi percepiti da ciascuno ma anche , ex post, quali siano stati gli obbiettivi raggiunti che li abbiano giustificati. Soprattutto relativamente a quelle Amministrazioni nelle quali i dirigenti, tutti i dirigenti, prima delle elezioni, sono stati premiati a pioggia. E sempre per inciso, a dimostrazione che i tempi stanno cambiando, abbiamo ascoltato con attenzione, successivamente al risultato elettorale, l'intervento dell'On. Maristella Gelmini (le cui quotazioni nel PdL stanno salendo vertiginosamente, tanto che oggi di lei si parla come futuro Vice Presidente del Consiglio del Governissimo guidato, si mormora , da Matteo Renzi) la quale, analogamente a quanto fino ad oggi si faceva solo per i calciatori, ha evidenziato la spropositata retribuzione dei dirigenti pubblici rispetto ai normali dipendenti (anche questo un nostro vecchio cavallo di battaglia: non perchè si sia contrari per principio a ciò ma perchè sono troppo bassi gli stipendi degli altri dipendenti pubblici e perchè, questo Paese, per un po' di tempo, per riprendersi, avrà bisogno che, per i propri privilegi, né i politici né i dirigenti vengano odiati dalla popolazione che vive ben altra realtà di sacrifici).
Nel privato sono più avanti nella risoluzione di queste contraddizioni. Chi segue l'attività delle associazioni di dirigenti nostre concorrenti sa come le stesse da mesi denuncino il cosiddetto “downgrading”. Ossia la sostituzione, nell'ambito delle attività “core” dell'impresa del dirigente con un quadro. Un po' come se nel pubblico (non ci crederete ma era così fino alla sciagurata riforma del 1993 ) la stessa attività di direzione fosse svolta da un direttore pagato al massimo il doppio dell'impiegato o addirittura dal funzionario apicale (una volta si chiamavano IX livelli) addirittura con uno stipendio più basso. Non è raro che, a differenza che nel privato, il patrimonio culturale, il titolo di studio e la professionalità del dipendente pubblico sia inversamente proporzionale al livello di appartenenza (è noto, sono proprio i dirigenti più bravi a ricordarlo nelle loro conferenze, che in una nave il soggetto più importante è il motorista e non il comandante) e ciò dovrebbe rassicurare tutti sulla praticabilità, nel settore pubblico, di tale strada. Nel privato questi processi sono più semplici dato che c'è il profitto come metro di paragone e supremo giudice delle capacità esplicate.
Vita più dura, quindi, per il manager il quale deve ricollocarsi, diventare più flessibile, spesso accettare un posto di quadro, rischiare di più in aziende più dinamiche, lavorare in aziende meno strutturate dove è maggiore il protagonismo e quindi l'invadenza della proprietà e quindi dell'imprenditore che, rimettendoci di suo, va poco per il sottile. Rimane l'estero? Magari. I nostri dirigenti non sono ancora sufficientemente competitivi a livello europeo o mondiale (si intende: nel mondo sviluppato). In Italia abbiamo però la cara, vecchia Pubblica Amministrazione in cui è possibile, entrando nelle grazie di qualche politico o padrino ministeriale, agguantare una poltrona, apparentemente a tempo determinato, spesso, di fatto, a vita. In teoria dovrebbe esserci un flusso bidirezionale in campo dirigenziale, tra pubblico e privato. In realtà è unidirezionale: dal privato al pubblico (o finto pubblico) con biglietto di sola andata.
Con costi tuttavia insopportabili e crescenti per il contribuente. Tanto che si teme l'arrivo anche lì dello tsunami. Che fare? Aspettare o ribellarsi a questo assetto iniquo, alleandosi con i cittadini, dimostrando che il dirigente pubblico è innanzitutto un servitore dello Stato? E cosa c'entrano con lo Stato e la Costituzione comportamenti arbitrari e illegali che rileviamo da anni nella P.A.? Nulla evidentemente e vanno combattuti. Ma non da tutti indistintamente ma , sarebbe ora, da chi casualmente si trova in prima linea, strettamente a contatto con il malaffare amministrativo. Una pubblica Amministrazione in queste condizione ha già effetti letali per molta parte della popolazione. Vogliono i dirigenti collaborare con questa ingiustizia criminale o essere i protagonisti del cambiamento? Hanno solo un modo di fare ciò. Diventare obiettori di coscienza, denunciare i misfatti della classe dirigente , essere i primi a fare pulizia all'interno delle loro amministrazioni disobbedendo a chi vorrebbe farne strumento della prevaricazione. Prima che sia troppo tardi e che l'ira popolare spazzi tutto via.