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mercoledì 9 dicembre 2015

IL FUTURO DI PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ITALIANA? NELL'AGRICOLTURA

AGL: siamo pienamente d'accordo con l'autore di questo articolo e con il Prof. Ichino. Solo alcune precisazioni:

  1. ci sembra che sia venuto il momento, ormai che la frittata è fatta e gli altarini sono scoperti, che anche i Ministri Madia e Poletti dicano chiaro, perchè è questo che vuole il Paese (e a questo invece si oppongono i sindacati nemici del Governo) che per pubblici e privati debbano valere le stesse regole (e sarebbe grave se la riforma della PA andasse in direzioni diverse).Si operi quindi sulle norme esistenti per spazzare via questi dubbi.
  2. I rituali, continuati e noiosi piagnistei della FP-CGIL non commuovono nessuno. Ci mancherebbe altro che nella PA non venissero licenziati per giusta causa coloro che commettono reati. Il problema è che sarebbe ora che anche nel pubblico ci fossero i licenziamenti per gmo (giustificato motivo oggettivo). Che , in parole povere, è lo strumento per risolvere il problema che si crea quando un posto di lavoro non serve più o serve troppo poco (e non è questa la situazione addirittura di interi rami delle Pubbliche Amministrazioni?)
  3. E non è che se la sentenza della Cassazione è arrivata dopo due giorni dalla manifestazione per il contratto questa sia una rappresaglia del sistema. Come già da noi scritto, è la categoria, grazie a quei sindacati, che si è autocastrata da anni. Il blocco dei contratti è conseguenza di quel che pensa l'opinione pubblica dei pubblici dipendenti.
  4. Occhio però ai furbetti del posticino. Non è che ora che si sta per licenziare sul serio va fatta tornare di moda la ripubblicizzazione, che è cosa buona e giusta. E no, belli! Qui occorre una politica dei tre tempi. Prima ripuliamo la PA dai delinquenti e dai corrotti, poi la alleggeriamo dei fannulloni e degli inutili con licenziamenti mirati e poi, per non farla ri-pappare da CGIL,CISL, UIL, CONFSAL, UGL, ecc. la cambiamo, decontrattualizzandola e rilegificandola! Solo così certi giochetti finiranno una volta per tutte! E rilanceremmo l'attività agricola soprattutto al Meridione.




I dipendenti del pubblico impiego sono licenziabili come quelli del settore privato!


Il cosiddetto Jobs Act lascia aperti i dubbi di interpretazione sulla parità tra pubblico e privato e la Cassazione cerca di fare chiarezza sul tema. Seppure la sentenza faccia riferimento alla riforma Fornero del 2012 , la Cassazione ha ritenuto applicabile al riformato articolo 18, anche al pubblico impiego. Tale pronuncia apre ovviamente il capitolo dell’applicazione delle “tutele crescenti” anche al pubblico impiego e ciò proprio perché la riforma del lavoro di Renzi ha lasciato (volutamente?) dubbi di interpretazione. Con questa sentenza, che farà giurisprudenza, i licenziamenti nel pubblico impiego saranno finalmente parificati a quelli del settore privato. E’ una sentenza che contrariamente a quanto sostenuto dai Ministri Madia e Poletti, riguarda chiaramente il pubblico impiego.
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24157 del 25 novembre 2015 ha stabilito, quindi, che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge Fornero, si applica anche ai dipendenti pubblici. I giudici della Cassazione hanno precisato che è innegabile che il nuovo testo dell’art. 18 legge come modificato dalla legge Fornero (art. 1 legge n. 92/2012,) trovi applicazione ratione temporis al licenziamento disciplinare per i dipendenti pubblici, eliminando molti dubbi interpretativi e avallando la tesi di chi, come il senatore Ichino, ha sempre sostenuto che la riforma dell’art. 18 si applicasse anche al pubblico impiego perché una norma speciale di esclusione non c’è mai stata. Ma i dubbi sul presente permangono, la sentenza non chiarisce affatto se il c.d. Jobs Act –  in realtà il decreto sul contratto a tutele crescenti – si estende anche ai dipendenti pubblici assunti dal 7 marzo in poi.  Ebbene, una precisazione è d’obbligo, il decreto sul contratto a tutele crescenti non modifica l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che resta com’è e dov’è.
Il decreto n. 23/2015 introduce nuove regole per gli assunti dal 7 marzo in poi, senza abrogare l’art. 18 dello Statuto e delimitando all’art. 1, il campo di applicazione delle nuove regole. Infatti, il contratto a tutele crescenti si applica a operai, impiegati e quadri, un sistema di classificazione del personale proprio del lavoro privato, che potrebbe mascherare l’intento del legislatore di escludere i dipendenti pubblici. L’art. 1, d. lgs. n. 23/2015 non contenendo alcuna esclusione e nella formulazione operata dal legislatore, giustifica i dubbi sull’estensione di tali regole anche ai lavoratori pubblici, dubbi che permangono anche alla luce della sentenza della Cassazione del 25 novembre 2015. In realtà,  i tempi sarebbero maturi per il superamento delle disparità tra dipendenti pubblici e privati e per l’applicazione delle stesse regole che valgono per i lavoratori privati anche per i lavoratori pubblici. Trovo curioso che si parli di discriminazione tra dipendenti privati quando si tratta delle tutele crescenti e si dimentica la più grande delle discriminazione: quella tra  lavoratori pubblici e privati.
07/12/2015

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