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"Lei è morto da sei anni, ci renda 72mila euro di pensione": l'incredibile storia del pensionato Francesco
di Ignazio Dessì
“Scusate, ma io sono vivo”, ha
detto con educazione ai disorientati impiegati comunali dopo aver
ricevuto la notizia di “essere morto”. Eppure, secondo la burocrazia
impazzita, è così. E ci sono volute rabbia e determinazione, più
l’intervento dei giornalisti, per ottenere almeno la promessa di una
soluzione. Per poter sperare di sfuggire ai problemi creati da
quell'errore. E sono tanti. Gli hanno per esempio bloccato la pensione e
precluso l’acquisto delle medicine. Un morto infatti quei diritti non
può averli. La storia comunque è incredibile e merita un
approfondimento. Se non altro per mettere a nudo i toni surreali di
certa burocrazia. Una breve ricerca, un numero di telefono e parte la
chiamata per l'intervista. Quando risponde Francesco scherza: “Sì, sono
proprio io. Il morto. E come può sentire sto piuttosto bene”. Poi
racconta.
In un bel giorno
d'inizio febbraio, lui, Francesco Giuzio, 79 anni, di Bari, riceve una
telefonata dalla sua banca. Lo avvertono che le rate della pensione
Enasarco e Inps sono state bloccate. Risulta deceduto. Giuzio non sa se
ridere o piangere. Ma è un uomo gagliardo, fondamentalmente allegro, e
nella vita ne ha viste di cotte e di crude. Nonostante i guai opta “per
la prima soluzione”. Almeno così racconta alla cornetta, intervallando
il tutto coi ricordi sulla Sardegna, dove ha fatto il militare nel ’58 e
confessa di aver lasciato il cuore.
E’ stato il comune di Bari a dichiararlo ufficialmente defunto,
comunicando il decesso ad altri enti come l’Inps. Così gli hanno
bloccato l'assegno. E se non bastasse, l’ente di previdenza gli ha
chiesto pure la restituzione di 72mila euro "indebitamente" percepiti
nel periodo successivo alla sua “dipartita”. Francesco è sconcertato.
Chiede spiegazioni agli uffici del comune e viene a sapere che il suo
trapasso risale al 2008 (alla stessa data in cui purtroppo gli è morto
un figlio di 37 anni, ndr) anche se ne hanno preso atto
solamente nel 2014. Passato a miglior vita da almeno 6 anni, insomma.
Eppure si presenta in Municipio in carne ed ossa. Basterebbe questo per
risolvere tutto. Non per la burocrazia italica, però, che ha riti e
tempi tutti particolari. Infatti i giorni passano e la pensione resta
bloccata. E nessuno gli spiega nemmeno come sia avvenuto il disguido.
“Silenzio assoluto”, sospira. Assurdo, ma è così. Gli consegnano solo
un certificato di esistenza in vita, ed è lui a dover correre da un
ufficio all’altro.
Del resto i guai si moltiplicano
e il povero pensionato entra in una spirale perversa. Al laboratorio
dove fa regolarmente i prelievi per controllare il diabete gli dicono
che la Asl rigetta le sue richieste di analisi perché risulta morto.
Alla banca gli comunicano che hanno chiesto di congelargli le somme
accumulate “post mortem”. La pensione continua a non arrivare. Insomma i
problemi aumentano e la disperazione pure. Così torna all'Inps per
pretendere di essere riconosciuto vivo e porre fine all’incubo. Per
riappropriarsi della propria esistenza. Ma i documenti rimbalzano da un
ufficio all’altro e il tempo continua a scorrere. La burocrazia è un
mostro terribile nel nostro Paese e Kafka le fa un baffo.
La storia è allucinante
ed urta soprattutto per un fatto: che una volta preso atto della
situazione chi di dovere non sia corso subito a porvi rimedio. Così
rimbalza su giornali e tv locali, l’indignazione dell’opinione pubblica
sale e - guarda caso - qualcosa si muove. “Proprio oggi un dirigente
Inps mi ha chiamato e mi ha promesso che presto, dopo due mesi di
blocco, riavrò la pensione”, rivela Francesco al telefono. Sarà vero?
Staremo a vedere. Lui lascia spazio solamente a una riflessione amara:
“In Italia, per poter ottenere il dovuto, bisogna sempre ricorrere a
qualche santo protettore, oppure ai media. Se stai zitto non ottieni
nulla, anche se ti spetta... in maniera lampante”.
13 marzo 2014
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