In queste ore gli italiani stanno scegliendo chi
li governerà nei prossimi cinque anni e per fortuna l'attenzione è caduta anche
sul modo di sostenere la cultura, un bene fondamentale per il nostro Paese.
Tanti lavoratori (attuali e potenziali) sono interessati a questo argomento e
quindi è bene che anche da parte nostra si esprima un'opinione. Già in passato
(e non ci ripeteremo) abbiamo confutato la tesi per la quale, per alcuni, “con
la cultura non si mangia”. Sarebbe troppo facile liquidarla dicendo che è “una
boiata pazzesca”. Diciamo che è interessante capire da dove essa tragga origine:
indubbiamente da una visione rozza e semplicistica dell'andamento e dello
sviluppo della nostra società. Purtroppo però la tesi contraria (mangiare con la
cultura) pecca di un limite altrettanto grave: identificare la cultura come
mantenibile solo a condizione che lo Stato assicuri uno stipendio fisso agli
operatori della cultura. Si è fatta strada allora una “terza via” quella di
promuovere l'intervento dei capitali privati nella cultura, con un mix di
soluzioni a volte rimaste solo a livello di intenzioni a volte con risultati
contraddittori e comunque a loro volta oggetto di polemica. La colpa ricade un
po' anche sul mondo della cultura italiana che non ha mai perso il vizio di
“schierarsi”. Chi ha un po' più di anni sulle spalle e queste vicende le ha
seguite fin dagli anni '60 non può però non cogliere un tratto caratterizzante
dell'evoluzione di questa diatriba fino ai nostri tempi. Ossia che una volta si
combatteva in nome di una ideologia, poi, più avanti, la motivazione era
individuabile nell'aver conservato o meno un “ideale”, ora (che sono spariti sia
le ideologie che gli ideali) l'essenza di tutto è nei soldi. Si parte dalla
propria storia per schierarsi in un limitato ventaglio di partiti, da lì si
cercano poltrone, occasioni di lavoro, finanziamenti o, quanto meno, uno
stipendio fisso e, sempre per i soldi, si è disposti a fare, in campo culturale,
il salto della quaglia, inventandosi crisi di coscienza e susseguenti
rivoluzioni di pensiero. Portandosi dietro sempre “il nuovo” come bandiera
imprescindibile (ma un po' inflazionata). In sintesi: un processo di
scilipotizzazione della cultura italiana. Grazie a dio, in base alla nostra
Costituzione, la Cultura è un ambito libero per definizione e, come noto,
l'essere umano, essendo dotato di libero arbitrio, può fare e andare dove meglio
crede. I lavoratori (attuali ma soprattutto potenziali) del cosiddetto settore
culturale hanno ormai imparato (come quelli dell'istruzione o dell'università) a
non farsi eccessive illusioni, pur avendo, magari, in tasca uno o più titoli di
studio di elevato livello anche se nel contempo col desiderio di incrementare
anche la propria esperienza lavorativa e di mangiare, farsi una famiglia o
migliorare la vita di quella che già si ha. Noi non abbiamo pregiudiziali
ideologiche nei confronti del ritorno (in realtà più o meno ci sono sempre
stati) dei Mecenati (i privati) nella cultura italiana oppure nei confronti di
meccanismi di incentivazione fiscale che tocchino questo mondo oppure nel
rafforzamento dell'intervento di organi pubblici nei tipici casi nei quali
l'intervento diretto dei privati sarebbe o inopportuno o improbabile per scarsa
convenienza economica. Diciamo solo che non si può ridurre la lotta sindacale
nella mera difesa di posti e retribuzioni fisse o di istituzioni decotte perché,
anche in caso di vittoria la stessa sarebbe soggetta al futuro ricatto economico
dei vincoli alle risorse di bilancio e a quello politico del dover seguire gli
input politici della classe dirigente al governo in quel momento e che magari ti
ha fatto il “favore” di “salvarti” a spese del contribuente. Non sarebbe più una
cultura veramente libera, quindi. D'altro canto non crediamo sia necessario, per
l'ennesima volta, richiamare quali siano gli enormi pericoli per la cultura
derivanti da un eccessivo, incontrollato e selvaggio ingresso dei privati . Non
parliamo poi della nefasta esperienza della lottizzazione politico-partitica di
tante istituzioni culturali. E ovviamente non si può chiedere a un sindacato che
abbia a cuore gli interessi dei lavoratori e dei cittadini meno abbienti di non
indicare questi pericoli, di non intervenire per ostacolare certi processi e
operazioni speculative. Anche i lavoratori della cultura, se si ritengono
veramente portatori di istanze decisive per una società migliore, devono
cominciare, su queste questioni (che riguardano il prosieguo o i presupposti di
una loro eventuale attività lavorativa) , a pensare e scegliere più con la loro
testa che con quella dei partiti, dei sindacati, degli enti e istituzioni nei
quali fino ad oggi hanno creduto e a cui in parte hanno affidato il loro
destino. E dire se per loro è più importante considerare come traguardo il posto
e lo stipendio fisso oppure iniziare a rischiare con tutti quei cittadini che,
da altri punti di partenza, sono rimasti anch'essi esclusi da una prospettiva di
sicurezza. Come possono pensare i lavoratori della cultura di affermare che la
cultura è libertà vera delle menti e condivisione di assetti più avanzati di
convivenza civile se continuano ad affidare e a incanalare le proprie speranze
in organismi che li hanno sempre mal sopportati e trascurati e che nella
migliore delle ipotesi cercano di tener buoni con uno stipendio fisso
(temporaneo) o con finanziamenti clientelari alle loro iniziative? E non
instaurando invece un dialogo vero con tutti i cittadini, anche quelli
politicamente e socialmente più distanti da loro?Ecco la soluzione quindi: non
cadete nel ricatto occupazionale, stipendiale e dei finanziamenti, impegnatevi a
interagire con tutti i cittadini (soprattutto con coloro oggi più distanti da
voi) scavalcando i vostri finti sostenitori e sostenendo le idee di
quell'intellettualità che da tempo individua modelli diversi e alternativi di
sviluppo, culturale e materiale.
lunedì 25 febbraio 2013
domenica 24 febbraio 2013
ROTTAMAZIONE ANCHE NEI SINDACATI?
E' apprezzabile che anche in una fase
così critica per il mantenimento del buon senso, come può essere
quella degli ultimi giorni di campagna elettorale, si sia
impertubabilmente riusciti a continuare il dibattito sulla riforma
del mercato del lavoro. Tutti hanno la loro ipotetica soluzione a
valere per il periodo che, a loro dire, ci separa dalla fine della
crisi e dalla ripresa, alla faccia di chi pensava finalmente arrivata
la fine del capitalismo. Quando si dice avere la capacità di
guardare nel medio-lungo... E' lecito però porsi un dilemma,
affrontato, per altri versi, di recente, nel dibattito pre elettorale
interno ai due maggiori schieramenti politici: quello della necessità
di una rottamazione della vecchia classe politica, non solo di
governo ma anche interna ai partiti. Ci si domandava: ma come possono
essere credibili le proposte di chi da decenni ha avuto la
possibilità di tradurle in realtà e non l'ha fatto?
Stesso tipo di interrogativo verrebbe
da porsi con riferimento agli attuali leader sindacali datoriali e
dei lavoratori. Ossia: ma questa gente finora cosa ha fatto? Imprese
e lavoratori fanno bene ad affidarsi a loro? Si potrebbe rispondere
che alcuni di loro sono di recente nomina. Forse sì ma, guardando le
loro carriere, sono stati sempre in seconda fila , subito alle spalle
dei rispettivi leader del passato e, comunque, è risaputo che a
livello sindacale le responsabilità sono più condivise poiché le
carriere durano più a lungo, a differenza degli staff dei segretari
politici che ne seguono la sorte, spesso, in relazione agli
insuccessi elettorali.
Comune a entrambi i mondi, politico e
sindacale, è la mistificazione nella lettura delle fonti. Come
prevedevamo pochi giorni fa, le raccomandazioni dell'OCSE sono state
lette all'italiana: ognuno un po' come gli pare. La povera Fornero,
in particolare, non avrà pace per anni: infatti il suo nome verrà
associato all'omonima riforma di cui sicura è la madre (la
professoressa Elsa, appunto) ma di cui tutti disconoscono di essere
il padre. Speriamo che i verbali delle votazioni della riforma non
facciano la fine dei tracciati radar di Ustica...Partendo da tale
lettura tutti i protagonisti del dibattito hanno ritenuto di dire la
loro. Le posizioni più preoccupanti sono di coloro che non
partecipando alle elezioni ritroveremo anche dopo. Il segretario
della CISL per esempio. Anche lui dice qualcosa che coincide con le
nostre posizioni: basta leggi sul lavoro, le riforme per dare un
impiego a chi non ce l'ha le concordino le parti sociali e se
necessaria una legge sia essa solo recepimento di accordi presi. E'
vero, siamo d'accordo sul principio. E' dagli anni settanta che si
dice che le riforme dovrebbero essere progettate ascoltando gli
interessati, con un ampio consenso e non imposte dall'alto da chi non
sa nulla della realtà in cui va a mettere le mani. Ed è altrettanto
vero che anche noi siamo per un sindacato vecchia maniera che ottenga
nuovi equilibri economico-sociali e normativi attraverso gli accordi
ma, se necessario (al contrario della CISL) anche con le lotte e gli
scontri sociali (non violenti, per carità) Però... il secondo
sindacato italiano non dice “basta leggi” ma “basta NUOVE
leggi”. Ossia, e non è una sottigliezza da poco, per la CISL la
Legge Biagi e la Legge Fornero non vanno toccate. Come già eravamo
abituati nel pubblico impiego, la CISL mostra di condividere non un
modello di libera ma di falsa contrattazione. Irregimentata in leggi
mal concepite, condizionata da erogazione di risorse in cui è lo
Stato ad aprire e chiudere il rubinetto (e qui è meglio per tutti
essere conservatori poiché quelle poche volte che il rubinetto è
stato affidato ai sindacati sono spariti il rubinetto, il tubo, il
lavandino e la cisterna...). In poche parole: subordinata e complice
del governo di turno.Vuol dire quindi che si condivide ad esempio
“quel” l'articolo 18, quella riforma delle pensioni, quella
moltiplicazione dei tipi contrattuali, quella selvaggia negazione dei
diritti democratici dei lavoratori, quella visione strumentale (tra
l'altro malriuscita) del rito processuale, per cui se il lavoratore
deve essere licenziato la giustizia è più veloce di quando lo
stesso deve rivendicare differenze retributive, demansionamento o
lavoro in nero.E' netta poi la sensazione che tutti questi personaggi
parlino in maniera ingannevole del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato. Come se volessero nasconderci la scomoda verità che
anch'essi conoscono: che il lavoro a tempo indeterminato morirà con
l'ultimo degli attuali statali che andrà in pensione. Lo ripetiamo,
anche per svegliare tanti lavoratori dal mondo dei sogni: cerchiamo
di lottare per un lavoro dignitoso e ben retribuito, non guardiamo a
un modello che di fatto (indipendentemente che noi lo si dica o no) è
destinato a sparire con gli ultimi uffici pubblici vecchio tipo e con
le ultime fabbriche di una volta. Occorre che il lavoratore abbia
occasioni continue, possibilità di fare carriera e che sia sicuro
di avere un reddito anche nelle fasi di sospensione dell'occupazione.
Occorre aumentare gli stipendi, garantire i diritti sul lavoro,
garantire a tutti (fino a quando non torneremo a essere un paese
civile sul lavoro e nelle relazioni sindacali) lo stesso articolo 18
vecchio tipo e l'agibilità sindacale a tutte le sigle. E poi spirito
pratico: se la somministrazione, nonostante quanto apparisse
all'inizio, si è rivelata un accettabile strumento per far lavorare
più persone possibili nella legalità e nel rispetto dei contratti,
ben venga un incoraggiamento della stessa. Se l'apprendistato(di tipo
nuovo) non cammina alla velocità voluta è perchè probabilmente il
progetto era irrealistico, ad esempio lontano dal modello tedesco,
che invece funziona .Inutile quindi sbandierarne una efficacia
indimostrata e peggio ancora continuare a illudere, con false
promesse di stabilizzazione (chi paga? Né lo Stato né le aziende
sembrano disponibili, quindi non prendeteci in giro) chi come cocopro
e partite iva è tra le maggiori vittime della legge Biagi e
soprattutto, degli errori (nel modulare gli incentivi) della Legge
Fornero.I politici che si occuperanno di questo argomento, dopo le
elezioni, agiscano in maniera semplice e sensata: ascoltino le
imprese (non solo Confindustria) , i sindacati (non solo Triplice e
UGL) e i consulenti del lavoro così come le agenzie e gli altri
protagonisti. Effettivamente, guardando alla validità delle proposte
e non inventandosi gerarchie di rappresentatività frutto di
fantasia e di strumentalità. Badando alla soluzione concreta dei
problemi. Non ci servono più né Ministri né studiosi che
continuino a passare alla Storia solo per i danni fatti a lavoratori
e pensionati.
Intendiamoci: non è che da
Confindustria (che sa solo proporre incentivi, cioè soldi alle
imprese, le sue in particolare) e CGIL (che gira e rigira ripropone
solo l'assunzione di nuovi dipendenti pubblici anche se si guarda
bene dal chiamarli così) vengano indicazioni più valide. Viene da
dire: se il vostro livello propositivo è questo, meglio che stiate a
case e non facciate patti o accordi sulla nostra schiena.
Certo è che anche la classe sindacale
comincia a dare segni di usura e che forse è arrivato il momento di
rottamare. Non a caso abbiamo (solo noi) segnalato che già il mondo
sindacale ha il suo Porcellum: la rappresentatività così come
individuata nell'accordo Confindustria-Sindacati del giugno 2011.
Speriamo rimanga solo uno dei tanti protocolli sindacali caduti nel
vuoto (delle nostre tasche...) . In conclusione, noi che da tempo
critichiamo il mondo accademico per essersi reso corresponsabile
delle nefandezze dei politici, non possiamo non sottolineare
positivamente, per una volta, un passaggio, che condividiamo in toto
(potete andare a rileggervi precedenti nostri articoli) , di un
recente intervento del Prof. Michele Tiraboschi sul tema della
contrapposizione tra contratto a tempo determinato e indeterminato
che da tempo toglie il sonno a leader politici e sindacali senza che
riescano a venire a capo di nulla di concreto. Dice il Prof.
Tiraboschi: “il dibattito sui contratti stabili e precari dimostra
il ritardo culturale del nostro Paese nell'interpretare e costruire
il futuro di un'economia e di una società. Il tema vero è il
superamento della contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro
subordinato per costruire uno Statuto di tutti i lavori. Il futuro
del lavoro non si gioca più sulle forme contrattuali quanto su
autonomia e creatività del lavoro, l'assunzione di rischio e spirito
imprenditoriale anche nei lavoratori e, infine ma non ultimo, le
competenze. Il mercato del lavoro è fatto con i contratti ma questi
creano valore solo se sono veicolo di competenze professionali e base
per lo sviluppo di logiche virtuose di produttività tanto a favore
delle imprese che dei lavoratori”.
REDDITOMETRO BOCCIATO: EVVIVA IL PENSIONATO DI POZZUOLI!
Non c'erano riusciti sindacati più o
meno rappresentativi a mettere in crisi, su vari temi,esterni e
interni, il Dott. Befera e l'Agenzia delle Entrate. L'impresa è
riuscita a un pensionato di Pozzuoli (NA) . Il 4 gennaio è partito
il redditometro ma il viaggio è durato poco. Un pensionato di
Pozzuoli ha fatto causa al Fisco per tutela della Privacy e un
giudice del Tribunale di Napoli gli ha dato ragione, vietando il
redditometro.Motivo: porta alla soppressione del diritto del
contribuente e della sua famiglia a una vita privata.Il giudice
inoltre articola una interessante illustrazione delle incongruità
dello strumento che non considera le differenze nel costo della vita
tra i territori, rischiando di identificare come eccessivamente alto
rispetto al reddito un determinato tenore di vita. Ovviamente
l'Agenzia delle Entrate ricorrerà, il nuovo governo probabilmente
metterà mano allo strumento per calibrarlo meglio, quello che ci
domandiamo solamente è: le nove banche dati a cui attingerebbe
l'Agenzia delle Entrate , costate al contribuente miliardi e che
certo non hanno indotto risparmi , non sarebbe meglio fossero
unificate e indirizzate a incrociare meglio i dati degli italiani
che non siano (una volta tanto) dipendenti o pensionati? In attesa
che la giustizia migliori e che la macchina fiscale venga
semplificata, razionalizzata e meglio indirizzata, prendiamo atto
che si tratta di un gran giorno per la Libertà e dell'ennesima
debacle della P.A. In una delle sue versioni considerate più
d'avanguardia (non ci si dica infatti che la colpa sia solo di Monti
e Grilli) . Dieci, Cento, Mille Pensionati di Pozzuoli!
PRECARI SCUOLA: 300 MILA CAUSE?
Un docente precario di educazione
fisica e di sostegno ha fatto causa al MIUR per mancata
stabilizzazione e ha ottenuto dal giudice del lavoro di Trapani un
risarcimento di più di 150 mila euro.
Il giudice ha tenuto conto dei recenti
orientamenti della giurisprudenza e delle norme nazionali e
comunitarie a tutela dei lavoratori e riconosciuto all'insegnante i
danni subiti per lucro cessante e danno emergente causati dalla
mancata stabilizzazione. E per i possibili mancati contratti.La
domanda è: visto l'elevato tasso di complicità dei sindacati
rappresentativi con le gerarchie ministeriali questa notizia verrà
adeguatamente diffusa? E si faranno avanti sindacati disposti ad
organizzare e coordinare la possibilità che 300.000 precari possano
essere dal futuro governo stabilizzati o risarciti? E eventuali
sentenze favorevoli saranno eseguibili o verranno riversate su noi
contribuenti con una ulteriore mazzata fiscale?
Per quanto ci compete, rileviamo solo
che ha inciso più, sulla questione, una sentenza della magistratura
che l'azione di anni di sindacati forti e rappresentativi solo sulla
carta che non hanno saputo fare, come forze sociali, il loro dovere.
Se i lavoratori, nel Pubblico Impiego, vorranno ottenere qualcosa e
presto dovranno evidentemente affidarsi a Sindacati non compromessi
con la Politica e con l'Alta Dirigenza e che puntino più al sodo.Non
sempre ci sarà un Giudice a Berlino...
domenica 17 febbraio 2013
LAVORO: PARTITA DAL PORTO FORNERO, UNA ZATTERA ALLA DERIVA NELLA NOTTE GALLEGGIA SULLA PALUDE DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI. I TRE MAGGIORI SCHIERAMENTI DISCORDI SUL DOPO ELEZIONI.
E' di pochi giorni fa l'ultimo richiamo
dell'OCSE che come al solito, all'italiana, verrà letto dagli
interessati, in più maniere tra loro contraddittorie. Dice l'OCSE
che più che il posto, va protetto il reddito del lavoratore. Ma i
soldi per farlo, in Italia, ci saranno?Le leggi, infatti, come noto,
non producono di per sé nuove risorse.Anzi, per raggiungere
l'obbiettivo spesso ne richiedono di nuove. Sempre OCSE sostiene che
ciò influirebbe sulla migliore dislocazione della forza lavoro. Ma
già qui emerge una divergenza di impostazione tra una Europa
liberista, che ipotizza un processo di causa -effetto spontaneo e una
visione italiana statalista e dirigista che unanimemente ritiene che
questi processi vadano guidati da politiche attive del lavoro (per la
verità solo nell'ultimissima comunicazione l'OCSE ne fa cenno, senza
troppa convinzione) , mai realmente fatte in decenni nonostante le
decine di migliaia di dipendenti pubblici impegnati nelle relative
amministrazioni di cui non si vuole ammettere , per motivi
clientelari, l'inutilità. Sarà dura realizzare la flessibilità in
entrata e uscita richiesta dall'OCSE quando la mentalità prevalente
è quella che l'una e l'altra parte , nelle due fasi, debbano essere
più brave a fregare la controparte che a rispettare regole di
correttezza e civiltà. Tutto un altro mondo, quindi. In ogni caso in
Italia, prima del 2017 un sistema universale di protezione sociale
per chi perde il lavoro non sarà realizzabile e quindi su questo,
per il momento, a meno che non siano scoperti pozzi di petrolio in
Via Flavia, è meglio mettersi l'anima in pace e proseguire coi
vecchi ammortizzatori. Già il Fondo Monetario Internazionale aveva
cominciato a snocciolare questo libro dei sogni: riforma della
giustizia, riforma tributaria, riforma della scuola e
dell'università, no ai condoni, ridurre il cuneo
fiscale,liberalizzazioni, privatizzazioni, ecc. Con un po' di ritardo
forse: qualcuno dovrebbe spiegare all'OCSE che in Italia le tasse
universitarie è inutile aumentarle ancora visto che ormai gli
studenti stanno abbandonando le facoltà sia per i già alti costi
sia per l'inutilità della laurea nell'attuale mercato del lavoro. E
con troppa prudenza, visto che lascia la porta aperta e quindi
ammette una modulazione temporale degli interventi in tutti i settori
di cui si propone la riforma compatibilmente con le esigenze di
bilancio. Quindi se ne parlerà tra anni. Per cui: parole al vento.
Nel frattempo la riforma Fornero si delinea (lo dicono gli
imprenditori e non stranamente quei partiti che dicono di voler
rappresentare il lavoro dipendente, il più colpito dal capolavoro
della professoressa torinese) come un disastro epocale. . Ha
aggravato i costi nell'utilizzo di apprendistato e lavoro a termine,
ha concorso alla perdita di ulteriori 320 mila posti di lavoro e a
un tasso di disoccupazione, specie giovanile, che da tempo non si
riscontrava. Le aziende fanno sempre meno contratti, soffocate da
burocrazia asfissiante e oneri inutili. Il contratto di apprendistato
è affondato per l'aumento della contribuzione, per il vincolo di
stabilizzazione e, per la verità, anche per i ritardi delle
Regioni. Analoghe disavventure per il contratto a tempo determinato,
grazie all'aumento della contribuzione, non riequilibrato dal premio
di stabilizzazione e dalla possibilità di omettere il “causalone”.La
reputazione delle collaborazioni e delle partite IVA era da tempo
segnata (per la intrinseca pericolosità) da parte delle aziende, il
contratto di inserimento è stato abrogato,le agevolazioni alle
assunzioni femminili sono al palo per la solita non immediata
attuabilità delle leggi italiane (da definire ancora territori e
tipi di impiego). Poiché è aumentato il contributo per l'ASPI è
diventato più costoso licenziare quindi si preferisce addirittura
non assumere. Nè tanto meno le aziende sono propense a versare i
contributi relativi ai fondi di solidarietà bilaterale e residuale.
Un capolavoro quindi cui oltre alla
Fornero ha sicuramente concorso l'elite amministrativa del Ministero
del Lavoro che ha fornito la propria preziosa consulenza tecnica a
supporto del Ministro. Anche l'Italia pertanto possiede le sue armi
di distruzione di massa. Come rimediare? Qui la confusione rischia di
accentuarsi. Il PD è per una modifica della riforma, il PDL per
abolirla, Monti (cioè Ichino) per sperimentare nuove soluzioni.
Molto dipenderà da chi ricoprirà il posto di Ministro del Lavoro e
dalle spinte che verranno, su un tema tanto sensibile, dalla sinistra
estrema, dalla lega, dai grillini e, ovviamente, dalle associazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Dalla lettura delle varie posizioni in
campo alcune osservazioni sono d'obbligo.
Il PD appare eccessivamente attardato
in una visione ingegneristica del diritto del lavoro. L'impressione
è che abbia difficoltà ad elaborare un modello coerente e compiuto
e, probabilmente, sia intenzionato in futuro ad appaltare alla CGIL e
alla Camusso , volta a volta, l'elaborazione di proposte da far
proprie come governo in cambio di una pace sociale (e qui non sembra
lecito attendersi uno scavalcamento da parte di CISL, UIL e UGL). Da
un punto di vista tecnico è prevedibile che si ripropongano gli
stessi errori compiuti quando si riformò la materia del lavoro
pubblico. Un groviglio di circolari, decreti attuativi, protocolli di
intesa che rischia di far diventare il diritto del lavoro italiano
ancor più giungla di come lo sia attualmente. Unico sollievo: forse
per un bel po' di tempo ci verrà risparmiata l'inutile polemica
sull'articolo 18 (forse l'argomento che alle aziende interessa di
meno, in quanto non a tutti è noto che le aziende non vogliono
licenziare ma crescere, produrre e assumere alle condizioni più
favorevoli possibili). Il PD non si occuperà di pensioni (non
smetterà mai di ringraziare la Fornero per averci lavorato sopra
sporcandosi fino al collo) se non per sanare la vicenda esodati
effettivamente imbarazzante per l'elettorato di riferimento L'art. 8
di Sacconi per il PD è come l'alieno di Roswell di cui si debba fare
l'autopsia: ancora non ha capito da dove cominciare,se la
contrattazione aziendale è un rischio o un opportunità: poco male:
saranno gatte da pelare per la CGIL....
L'uomo di punta per la Lista Monti è
Ichino, uscito sconfitto anche lui dalle primarie del PD. Ovvio che
per questo motivo e per la sua scelta di cambiare schieramento,
nonché per una vecchia ruggine tra lui e l'Amministrazione del
Lavoro, sarà difficile che la sua proposta possa essere influente,
quanto meno nella prima parte della legislatura. Il professore è
divenuto molto più prudente (il tritacarne in cui si è ficcata la
Fornero ha spaventato molti studiosi) e pone l'accento sull'aspetto
sperimentale della propria proposta perchè neppure lui sa se possa
davvero funzionare nel caos del mondo del lavoro in Italia. Diversi
sono i punti deboli della proposta. In sintesi:le imprese sono
stanche di esperimenti: vogliono lavorare e in sicurezza, altrimenti
vanno all'estero. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(illusorio) rischia più di essere un dogma che una realtà. Forse è
bene che si elaborino modelli alternativi in cui tutti, senza
privilegi, possano cambiare lavoro nella vita in piena sicurezza. Il
precariato non è sgradevole tanto per la durata determinata ma per
essere sfruttamento sottopagato e ricattato. Più che la durata, qui
il tema è la dignità delle condizioni di lavoro e la sufficienza
della retribuzione. Quindi secondo noi, anche da parte di Ichino c'è
un evidente ritardo interpretativo. Di ridurre il cuneo fiscale
Ichino sa meglio di noi che non è aria, almeno finchè i costi della
PA saranno a questi livelli. Ichino poi dovrebbe sapere che
l'Outplacement in Italia il soggetto pubblico non sa farlo e quindi
non sarebbe gratuito. E delude quando scomunica l'art. 8 di Sacconi
in nome del totem CCNL. Ci saremmo aspettati un po' più di coraggio
nel valorizzare la contrattazione aziendale, l'unica che può
sparigliare il pluridecennale immobilismo dell'assetto sindacale
italiano.
Quanto al PDL pesa su questo
schieramento l'eredità della gestione Sacconi cui non si può non
pensare in relazione alla credibilità delle intenzioni di modificare
realmente, questa volta, il mercato del lavoro. Certo, non si può
negare che la scelta sia chiara (abolire la riforma Fornero e tornare
alla Legge Biagi) e che il quadro ideologico sia coerente. Il punto
debole è nella dimostrata incapacità, in questi anni, di quella
parte, di saper unire e non dividere il mondo del lavoro su una
prospettiva condivisa. E in Italia la riforma del Lavoro o la si fa
tutti assieme o non la si fa. Anche in questo caso, come per Ichino,
il contrasto tra tempo indeterminato e precariato è posto in maniera
non corretta e fuorviante, in maniera cioè poco moderna. Ovviamente
la validità dell'art. 8 di Sacconi è ribadita ma ci sarebbe più
piaciuta una netta presa di distanze da visioni dello stesso
penalizzanti per le condizioni dei lavoratori. Bene abbattere il
totem del CCNL ma per migliorare le condizioni di imprese e
lavoratori , non per peggiorarle perchè non è così che l'economia
cresce. Quanto al tema della liberazione del lavoro dai vincoli
fiscali e burocratici, lo stesso è convincente come sempre ma in
realtà è rimasto in questi anni una mera utopia nonostante le
responsabilità di governo ricoperte.
In conclusione auguriamo a tutte le
forze politiche, dopo le elezioni, di riuscire a realizzare qualcosa
di buono e costruttivo per tutti i lavoratori italiani. Ne sentiamo
veramente il bisogno.
COOPCOSTRUTTORI DI ARGENTA (FE), GIUSTIZIA ATTESA DAL 2003. DELUSIONE PER LE MITI CONDANNE
2003: scoperto un buco da un miliardo
di euro nella contabilità della quarta azienda edilizia italiana.
10.000 creditori in difficoltà e 3.000 famiglie rovinate.
Sapevamo che in Italia per avere
giustizia occorre tanto tempo. Certo, la giustizia non è vendetta
ma, nel caso in cui non sia possibile recuperare i soldi, in questo,
come in tutti gli altri casi, un po' di punizione allevia le
sofferenze. Ma in Italia non tutti i cittadini sono uguali davanti
alla legge. Chi è più ricco può pagarsi i migliori avvocati e ha
più probabilità se non di farla franca, almeno di limitare i danni.
Colpiscono alcuni fatti che da tempo si ripetono in casi come questi
che riguardano grandi cooperative affiliate a grandi Centrali.Il
nuovo modello di vigilanza pubblica cooperativa, nato, caso vuole,
proprio nel 2002 qui sembra essere stato attraversato dalla vicenda
come un ectoplasma. Magra consolazione per gli organi ministeriali
che anche le tre società di revisione e certificazione dei bilanci
(le grandissime cooperative hanno anche questo obbligo aggiuntivo)
siano state assolte. Come poteva un ispettore ministeriale in sede
straordinaria accorgersi di quanto sfuggito addirittura ai super
professionisti della revisione contabile? Però non può finire qui e
non può finire così. Per quelle imprese e famiglie coinvolte, le
quali entrambe hanno fatto affidamento sul sistema cooperativo non a
caso ma perchè pensavano che godendo di agevolazioni fosse
adeguatamente vigilato (preventivamente, contestualmente e subito
dopo gli interventi) e, dal punto di vista delle famiglie, perchè
in Italia (lo dice la Costituzione) le cooperative sono imprese non
come tutte le altre ma con la caratteristica di avere una funzione
sociale vincolante per la possibilità di godere di benefici e
contributi.
In Italia, a seguito delle prossime
elezioni, molto probabilmente diverrà Presidente del Consiglio un
esponente politico piacentino nato, cresciuto e maturato nel cuore
dell'Emilia cooperativa il quale, si dice, abbia nel mondo
cooperativo uno dei principali pilastri della propria forza politica
ed elettorale. In campagna elettorale tutti i sindacati hanno inviato
alle forze politiche una serie di indicazioni programmatiche,
chiedendo su di esse l'impegno dei vari partiti facendo intendere di
poter garantire un sostegno a chi facesse proprie determinate
proposte.
Non ci risulta che nessun altro
sindacato, oltre a noi dell'AGL, abbia chiesto al probabile futuro
presidente del Consiglio quanto segue: che per evitare che si
ripetano drammi come quello della Coopcostruttori di Argenta venga
abolita la possibilità che la vigilanza ordinaria annuale o biennale
sulle società cooperativa venga demandata alle stesse Centrali
cooperative cui quelle cooperative aderiscono e a cui pagano quota
associativa e contributi di revisione, oltre a destinare una
percentuale del patrimonio residuo ai rispettivi fondi mutualistici.
Non vi può più essere coincidenza tra controllore e controllato (la
vicenda Banca d'Italia – MPS qualcosa avrà pure insegnato) E che
la vigilanza sulle società cooperativa torni tutta e unicamente allo
Stato che la eserciti attraverso il Corpo di revisori appositamente
abilitati e per i quali venga istituito un albo e ruolo
professionale. Che questi revisori e ispettori straordinari vengano
aggiornati gratuitamente e intensamente , che tutte le strutture e le
risorse della PA vengano messe a loro disposizione a costo zero, che
vengano di nuovo istituiti uffici territoriali della vigilanza
cooperativa e che in essi vengano impiegati quelle centinaia di
revisori oggi in forza al Ministero del Lavoro (ostacolati
costantemente dalla Direzione Generale del Personale di quella
sfortunata Amministrazione) che possano, se lo vogliano, trasferirsi
al Ministero dello Sviluppo Economico. Ciò per garantire il rispetto
della frequenza annuale e biennale delle revisioni. E per prevenire,
prima che sia necessario, come per la Coopcostruttori, l'intervento
“curativo” della Magistratura (benemerita) quando però ormai
non ci sia nulla da fare per famiglie e creditori.
Aspettiamo fiduciosi di vedere se chi
si professa coraggioso liberalizzatore e nemico delle Lobby abbia,
una volta al potere, il fegato di distogliere le Associazioni che lo
hanno sempre sostenuto da un mestiere non loro congeniale (quello di
controllore di coloro che li finanziano) e di farle concentrare
sull'attività più propria di assistenza, tutela e rappresentanza.
AGL Ispettori di Cooperative
I DIPENDENTI PUBBLICI E LA POLEMICA SUI COSTI DELLA BUROCRAZIA
I dati diffusi da Confartigianato sui
costi della burocrazia fanno impressione. Se ne parla da anni ma
evidentemente fare qualcosa di serio per ridurla, razionalizzarla e
modernizzarla si è rivelato impossibile.
Diamo per scontato che
sull'interpretazione del fenomeno e sull'identificazione di esso come
un problema (“il” problema?) si sia concordi. Per lo meno tra i
cittadini che non abbiano le mani in pasta con quel groviglio di
interessi e vogliano sinceramente il bene di sé stessi, delle loro
famiglie, delle loro imprese (se non le hanno già chiuse).La domanda
capitale è : “che fare?” ma soprattutto “chi può fare di
più?” (l'assonanza sanremese è puramente casuale).
Soggetti politici che vogliano
veramente innovare, all'orizzonte, non se ne vedono. Per ragioni
diverse e comprensibili. Uno schieramento ha nell'elettorato
appartenente al pubblico impiego uno dei propri pilastri. Un altro è,
per sua natura, punto di riferimento, di fatto, della dirigenza (e si
sa che i generali, senza un esercito, anche scalcinato, contano ben
poco) cioè di chi nella PA è presente non a caso e svolge ruolo di
garante per il perpetuarsi del potere, un altro ancora ha capito, sin
dal 1994 che anche se a malincuore e turandosi il naso con la
burocrazia deve fare i conti (e non può regolare i conti) se non
vuole che le proprie “riforme” tese a favorire determinate
categorie e territori serbatoio elettorale si spengano nel nulla.
Altri schieramenti, oggi marginali, abituiamoci a valutarli meglio
una volta che avranno avuto veramente a che fare col mostro. Ne
usciranno (la storia ci dice questo) o fagocitati, o isolati e
sconfitti oppure ne assaggeranno per un po' i privilegi in attesa
della normalizzazione. Soggetti economico-imprenditoriali hanno
dimostrato di avere un rapporto di amore-odio con la burocrazia. La
detestano quando la stessa manda a monte i propri affari ma spesso,
in silenzio e di nascosto, cercano di mettersi d'accordo con essa,
anche illecitamente, per fregare i concorrenti. Diciamo poi che in
Italia questi soggetti non hanno mai brillato per attaccamento ad
interessi superiori o al bene comune. Meglio non illudersi e non fare
affidamento su di loro. I sindacati grandi e storici sono in rapporto
di interesse con gli alti livelli burocratici. Da uno scambio con
essi derivano i residui favori e privilegi che riescono a strappare
per conservare gli iscritti da loro rappresentati, che si
accontentano sempre di meno, così come quei sindacati li hanno
gradualmente abituati a fare. I sindacati piccoli sono stati
annullati da una normativa sulla rappresentatività di cui sinora né
loro né altri hanno pienamente compreso la natura sostanzialmente
ingannevole e antidemocratica (cosa c'è di più autoritario della
finta democrazia?). Restano i lavoratori pubblici, cioè noi, per la
verità sempre più presi dal problema di campare giorno per giorno
più che dalle preoccupazioni sulla sorte della democrazia. Diciamo
loro: quando avrete tempo di rifletterci vi accorgerete che in Italia
nulla è cambiato e nulla muterà finchè non saranno proprio i
lavoratori pubblici a far propria la bandiera della lotta alla
burocrazia (già, proprio quella che apparentemente vi dà da
mangiare – anche se in realtà è il contribuente che lo fa- e
quella nella quale sognate ancora che un domani vostro figlio possa
assere assunto tramite un concorso), della battaglia perchè vengano
ridotti gli adempimenti per avviare una nuova impresa, per costituire
un nuovo rapporto di lavoro, i passaggi per accedere al credito o
quelli fiscali. Così come per ridurre e semplificare le leggi e per
digitalizzare la pubblica amministrazione. Perchè innanzitutto voi
(noi) siamo quelli ad aver bisogno di una giustizia veloce ed
efficiente, di servizi alla famiglia veri , diffusi, alla portata
delle nostre tasche. Prendiamola allora in mano questa bandiera e
muoviamoci, non fidandoci di coloro che dicono che se si riducesse la
burocrazia questo significherebbe perdere tanti posti di lavoro
impiegatizi. Ci ricattano e ci ingannano, per farsi sempre gli affari
loro. Ragioniamo con la nostra testa, guardiamo (almeno su questo)
all'Europa e lasciamo al loro destino i demagoghi sindacali , gli
unici che hanno interesse a che si perpetui questo sistema perverso,
temendo che in caso contrario dovrebbero tornare a lavorare sul
serio.
domenica 10 febbraio 2013
PERCHE' IL PRESIDENTE DI UN AUTHORITY NON DOVREBBE ESSERE UN EX POLITICO...
Lo schema di decreto legislativo anticorruzione che riguarda la parte relativa al riordino della trasparenza sul web è stata oggetto dell'esame dell'Authority sulla Privacy, presieduta da un ex politico.
Il risultato è interessantissimo perchè, nell'elencare quali siano i dati non pubblicizzabili e quali quelli pubblicizzabili (e, questi ultimi, entro che limiti) il Garante ha fornito all'opinione pubblica una informazione (questa si completa) di cosa dovrebbe disporre una vera legge anticorruzione che tutti i partiti, peraltro, promettono, in campagna elettorale, di voler approvare nel futuro Parlamento.
Il garante non vuole che si pubblichino i dati sulle consulenze (e relativi compensi) dei pubblici dipendenti.. Inoltre ritiene che vada rispettata la riservatezza dei parenti dei politici. Non solo la moglie di Cesare, quindi, potrà d'ora in poi sentirsi al sicuro da occhi e domande indiscrete sulla propria situazione patrimoniale ma tutta la folta parentela. Inoltre anche ciò che sarà pubblicato lo dovrà essere a termine e/o con limitazioni di accessibilità.Forse perchè , come il pesce, alla lunga la puzza di questi dati possa essere avvertita da tanti, da troppi, anche da quelli con il naso (e non solo quello) chiuso.Via libera invece , riguardo ai dipendenti pubblici, per le retribuzioni tabellari (notoriamente variabili e a sorpresa....) e per i curricula (notoriamente veritieri.....). Se questa presa di posizione ha leggermente interdetto l'attuale Ministro della Funzione Pubblica (di solito imperturbabile ed equilibrato) , come appare dalle dichiarazioni rese alla stampa, significa che effettivamente si tratta di qualcosa di pesante. Nella speranza che dopo le elezioni si cambi rotta nel Paese e nelle Istituzioni, l'AGL , sommessamente, rinnova la richiesta fatta che vengano resi pubblici non solo l'ammontare dei premi ricevuti dai dirigenti della PA ma anche quali obbiettivi raggiunti li giustifichino. Insomma, ci piacerebbe che un domani , come accade per i piloti di Formula 1, il politico (e soprattutto il suo serbatoio = portafoglio) , venga pesato prima e dopo la gara (cioè l'incarico rivestito) per verificare che si sia comportato con lealtà e correttezza. .Nel frattempo, non sarebbe male se il nuovo Parlamento varasse una norma che non consentisse ad un ex parlamentare di essere membro (né tanto meno Presidente) di Authority. Crediamo che il motivo sia evidente...
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