E' apprezzabile che anche in una fase
così critica per il mantenimento del buon senso, come può essere
quella degli ultimi giorni di campagna elettorale, si sia
impertubabilmente riusciti a continuare il dibattito sulla riforma
del mercato del lavoro. Tutti hanno la loro ipotetica soluzione a
valere per il periodo che, a loro dire, ci separa dalla fine della
crisi e dalla ripresa, alla faccia di chi pensava finalmente arrivata
la fine del capitalismo. Quando si dice avere la capacità di
guardare nel medio-lungo... E' lecito però porsi un dilemma,
affrontato, per altri versi, di recente, nel dibattito pre elettorale
interno ai due maggiori schieramenti politici: quello della necessità
di una rottamazione della vecchia classe politica, non solo di
governo ma anche interna ai partiti. Ci si domandava: ma come possono
essere credibili le proposte di chi da decenni ha avuto la
possibilità di tradurle in realtà e non l'ha fatto?
Stesso tipo di interrogativo verrebbe
da porsi con riferimento agli attuali leader sindacali datoriali e
dei lavoratori. Ossia: ma questa gente finora cosa ha fatto? Imprese
e lavoratori fanno bene ad affidarsi a loro? Si potrebbe rispondere
che alcuni di loro sono di recente nomina. Forse sì ma, guardando le
loro carriere, sono stati sempre in seconda fila , subito alle spalle
dei rispettivi leader del passato e, comunque, è risaputo che a
livello sindacale le responsabilità sono più condivise poiché le
carriere durano più a lungo, a differenza degli staff dei segretari
politici che ne seguono la sorte, spesso, in relazione agli
insuccessi elettorali.
Comune a entrambi i mondi, politico e
sindacale, è la mistificazione nella lettura delle fonti. Come
prevedevamo pochi giorni fa, le raccomandazioni dell'OCSE sono state
lette all'italiana: ognuno un po' come gli pare. La povera Fornero,
in particolare, non avrà pace per anni: infatti il suo nome verrà
associato all'omonima riforma di cui sicura è la madre (la
professoressa Elsa, appunto) ma di cui tutti disconoscono di essere
il padre. Speriamo che i verbali delle votazioni della riforma non
facciano la fine dei tracciati radar di Ustica...Partendo da tale
lettura tutti i protagonisti del dibattito hanno ritenuto di dire la
loro. Le posizioni più preoccupanti sono di coloro che non
partecipando alle elezioni ritroveremo anche dopo. Il segretario
della CISL per esempio. Anche lui dice qualcosa che coincide con le
nostre posizioni: basta leggi sul lavoro, le riforme per dare un
impiego a chi non ce l'ha le concordino le parti sociali e se
necessaria una legge sia essa solo recepimento di accordi presi. E'
vero, siamo d'accordo sul principio. E' dagli anni settanta che si
dice che le riforme dovrebbero essere progettate ascoltando gli
interessati, con un ampio consenso e non imposte dall'alto da chi non
sa nulla della realtà in cui va a mettere le mani. Ed è altrettanto
vero che anche noi siamo per un sindacato vecchia maniera che ottenga
nuovi equilibri economico-sociali e normativi attraverso gli accordi
ma, se necessario (al contrario della CISL) anche con le lotte e gli
scontri sociali (non violenti, per carità) Però... il secondo
sindacato italiano non dice “basta leggi” ma “basta NUOVE
leggi”. Ossia, e non è una sottigliezza da poco, per la CISL la
Legge Biagi e la Legge Fornero non vanno toccate. Come già eravamo
abituati nel pubblico impiego, la CISL mostra di condividere non un
modello di libera ma di falsa contrattazione. Irregimentata in leggi
mal concepite, condizionata da erogazione di risorse in cui è lo
Stato ad aprire e chiudere il rubinetto (e qui è meglio per tutti
essere conservatori poiché quelle poche volte che il rubinetto è
stato affidato ai sindacati sono spariti il rubinetto, il tubo, il
lavandino e la cisterna...). In poche parole: subordinata e complice
del governo di turno.Vuol dire quindi che si condivide ad esempio
“quel” l'articolo 18, quella riforma delle pensioni, quella
moltiplicazione dei tipi contrattuali, quella selvaggia negazione dei
diritti democratici dei lavoratori, quella visione strumentale (tra
l'altro malriuscita) del rito processuale, per cui se il lavoratore
deve essere licenziato la giustizia è più veloce di quando lo
stesso deve rivendicare differenze retributive, demansionamento o
lavoro in nero.E' netta poi la sensazione che tutti questi personaggi
parlino in maniera ingannevole del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato. Come se volessero nasconderci la scomoda verità che
anch'essi conoscono: che il lavoro a tempo indeterminato morirà con
l'ultimo degli attuali statali che andrà in pensione. Lo ripetiamo,
anche per svegliare tanti lavoratori dal mondo dei sogni: cerchiamo
di lottare per un lavoro dignitoso e ben retribuito, non guardiamo a
un modello che di fatto (indipendentemente che noi lo si dica o no) è
destinato a sparire con gli ultimi uffici pubblici vecchio tipo e con
le ultime fabbriche di una volta. Occorre che il lavoratore abbia
occasioni continue, possibilità di fare carriera e che sia sicuro
di avere un reddito anche nelle fasi di sospensione dell'occupazione.
Occorre aumentare gli stipendi, garantire i diritti sul lavoro,
garantire a tutti (fino a quando non torneremo a essere un paese
civile sul lavoro e nelle relazioni sindacali) lo stesso articolo 18
vecchio tipo e l'agibilità sindacale a tutte le sigle. E poi spirito
pratico: se la somministrazione, nonostante quanto apparisse
all'inizio, si è rivelata un accettabile strumento per far lavorare
più persone possibili nella legalità e nel rispetto dei contratti,
ben venga un incoraggiamento della stessa. Se l'apprendistato(di tipo
nuovo) non cammina alla velocità voluta è perchè probabilmente il
progetto era irrealistico, ad esempio lontano dal modello tedesco,
che invece funziona .Inutile quindi sbandierarne una efficacia
indimostrata e peggio ancora continuare a illudere, con false
promesse di stabilizzazione (chi paga? Né lo Stato né le aziende
sembrano disponibili, quindi non prendeteci in giro) chi come cocopro
e partite iva è tra le maggiori vittime della legge Biagi e
soprattutto, degli errori (nel modulare gli incentivi) della Legge
Fornero.I politici che si occuperanno di questo argomento, dopo le
elezioni, agiscano in maniera semplice e sensata: ascoltino le
imprese (non solo Confindustria) , i sindacati (non solo Triplice e
UGL) e i consulenti del lavoro così come le agenzie e gli altri
protagonisti. Effettivamente, guardando alla validità delle proposte
e non inventandosi gerarchie di rappresentatività frutto di
fantasia e di strumentalità. Badando alla soluzione concreta dei
problemi. Non ci servono più né Ministri né studiosi che
continuino a passare alla Storia solo per i danni fatti a lavoratori
e pensionati.
Intendiamoci: non è che da
Confindustria (che sa solo proporre incentivi, cioè soldi alle
imprese, le sue in particolare) e CGIL (che gira e rigira ripropone
solo l'assunzione di nuovi dipendenti pubblici anche se si guarda
bene dal chiamarli così) vengano indicazioni più valide. Viene da
dire: se il vostro livello propositivo è questo, meglio che stiate a
case e non facciate patti o accordi sulla nostra schiena.
Certo è che anche la classe sindacale
comincia a dare segni di usura e che forse è arrivato il momento di
rottamare. Non a caso abbiamo (solo noi) segnalato che già il mondo
sindacale ha il suo Porcellum: la rappresentatività così come
individuata nell'accordo Confindustria-Sindacati del giugno 2011.
Speriamo rimanga solo uno dei tanti protocolli sindacali caduti nel
vuoto (delle nostre tasche...) . In conclusione, noi che da tempo
critichiamo il mondo accademico per essersi reso corresponsabile
delle nefandezze dei politici, non possiamo non sottolineare
positivamente, per una volta, un passaggio, che condividiamo in toto
(potete andare a rileggervi precedenti nostri articoli) , di un
recente intervento del Prof. Michele Tiraboschi sul tema della
contrapposizione tra contratto a tempo determinato e indeterminato
che da tempo toglie il sonno a leader politici e sindacali senza che
riescano a venire a capo di nulla di concreto. Dice il Prof.
Tiraboschi: “il dibattito sui contratti stabili e precari dimostra
il ritardo culturale del nostro Paese nell'interpretare e costruire
il futuro di un'economia e di una società. Il tema vero è il
superamento della contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro
subordinato per costruire uno Statuto di tutti i lavori. Il futuro
del lavoro non si gioca più sulle forme contrattuali quanto su
autonomia e creatività del lavoro, l'assunzione di rischio e spirito
imprenditoriale anche nei lavoratori e, infine ma non ultimo, le
competenze. Il mercato del lavoro è fatto con i contratti ma questi
creano valore solo se sono veicolo di competenze professionali e base
per lo sviluppo di logiche virtuose di produttività tanto a favore
delle imprese che dei lavoratori”.
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