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domenica 24 febbraio 2013

ROTTAMAZIONE ANCHE NEI SINDACATI?

E' apprezzabile che anche in una fase così critica per il mantenimento del buon senso, come può essere quella degli ultimi giorni di campagna elettorale, si sia impertubabilmente riusciti a continuare il dibattito sulla riforma del mercato del lavoro. Tutti hanno la loro ipotetica soluzione a valere per il periodo che, a loro dire, ci separa dalla fine della crisi e dalla ripresa, alla faccia di chi pensava finalmente arrivata la fine del capitalismo. Quando si dice avere la capacità di guardare nel medio-lungo... E' lecito però porsi un dilemma, affrontato, per altri versi, di recente, nel dibattito pre elettorale interno ai due maggiori schieramenti politici: quello della necessità di una rottamazione della vecchia classe politica, non solo di governo ma anche interna ai partiti. Ci si domandava: ma come possono essere credibili le proposte di chi da decenni ha avuto la possibilità di tradurle in realtà e non l'ha fatto?
Stesso tipo di interrogativo verrebbe da porsi con riferimento agli attuali leader sindacali datoriali e dei lavoratori. Ossia: ma questa gente finora cosa ha fatto? Imprese e lavoratori fanno bene ad affidarsi a loro? Si potrebbe rispondere che alcuni di loro sono di recente nomina. Forse sì ma, guardando le loro carriere, sono stati sempre in seconda fila , subito alle spalle dei rispettivi leader del passato e, comunque, è risaputo che a livello sindacale le responsabilità sono più condivise poiché le carriere durano più a lungo, a differenza degli staff dei segretari politici che ne seguono la sorte, spesso, in relazione agli insuccessi elettorali.
Comune a entrambi i mondi, politico e sindacale, è la mistificazione nella lettura delle fonti. Come prevedevamo pochi giorni fa, le raccomandazioni dell'OCSE sono state lette all'italiana: ognuno un po' come gli pare. La povera Fornero, in particolare, non avrà pace per anni: infatti il suo nome verrà associato all'omonima riforma di cui sicura è la madre (la professoressa Elsa, appunto) ma di cui tutti disconoscono di essere il padre. Speriamo che i verbali delle votazioni della riforma non facciano la fine dei tracciati radar di Ustica...Partendo da tale lettura tutti i protagonisti del dibattito hanno ritenuto di dire la loro. Le posizioni più preoccupanti sono di coloro che non partecipando alle elezioni ritroveremo anche dopo. Il segretario della CISL per esempio. Anche lui dice qualcosa che coincide con le nostre posizioni: basta leggi sul lavoro, le riforme per dare un impiego a chi non ce l'ha le concordino le parti sociali e se necessaria una legge sia essa solo recepimento di accordi presi. E' vero, siamo d'accordo sul principio. E' dagli anni settanta che si dice che le riforme dovrebbero essere progettate ascoltando gli interessati, con un ampio consenso e non imposte dall'alto da chi non sa nulla della realtà in cui va a mettere le mani. Ed è altrettanto vero che anche noi siamo per un sindacato vecchia maniera che ottenga nuovi equilibri economico-sociali e normativi attraverso gli accordi ma, se necessario (al contrario della CISL) anche con le lotte e gli scontri sociali (non violenti, per carità) Però... il secondo sindacato italiano non dice “basta leggi” ma “basta NUOVE leggi”. Ossia, e non è una sottigliezza da poco, per la CISL la Legge Biagi e la Legge Fornero non vanno toccate. Come già eravamo abituati nel pubblico impiego, la CISL mostra di condividere non un modello di libera ma di falsa contrattazione. Irregimentata in leggi mal concepite, condizionata da erogazione di risorse in cui è lo Stato ad aprire e chiudere il rubinetto (e qui è meglio per tutti essere conservatori poiché quelle poche volte che il rubinetto è stato affidato ai sindacati sono spariti il rubinetto, il tubo, il lavandino e la cisterna...). In poche parole: subordinata e complice del governo di turno.Vuol dire quindi che si condivide ad esempio “quel” l'articolo 18, quella riforma delle pensioni, quella moltiplicazione dei tipi contrattuali, quella selvaggia negazione dei diritti democratici dei lavoratori, quella visione strumentale (tra l'altro malriuscita) del rito processuale, per cui se il lavoratore deve essere licenziato la giustizia è più veloce di quando lo stesso deve rivendicare differenze retributive, demansionamento o lavoro in nero.E' netta poi la sensazione che tutti questi personaggi parlino in maniera ingannevole del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Come se volessero nasconderci la scomoda verità che anch'essi conoscono: che il lavoro a tempo indeterminato morirà con l'ultimo degli attuali statali che andrà in pensione. Lo ripetiamo, anche per svegliare tanti lavoratori dal mondo dei sogni: cerchiamo di lottare per un lavoro dignitoso e ben retribuito, non guardiamo a un modello che di fatto (indipendentemente che noi lo si dica o no) è destinato a sparire con gli ultimi uffici pubblici vecchio tipo e con le ultime fabbriche di una volta. Occorre che il lavoratore abbia occasioni continue, possibilità di fare carriera e che sia sicuro di avere un reddito anche nelle fasi di sospensione dell'occupazione. Occorre aumentare gli stipendi, garantire i diritti sul lavoro, garantire a tutti (fino a quando non torneremo a essere un paese civile sul lavoro e nelle relazioni sindacali) lo stesso articolo 18 vecchio tipo e l'agibilità sindacale a tutte le sigle. E poi spirito pratico: se la somministrazione, nonostante quanto apparisse all'inizio, si è rivelata un accettabile strumento per far lavorare più persone possibili nella legalità e nel rispetto dei contratti, ben venga un incoraggiamento della stessa. Se l'apprendistato(di tipo nuovo) non cammina alla velocità voluta è perchè probabilmente il progetto era irrealistico, ad esempio lontano dal modello tedesco, che invece funziona .Inutile quindi sbandierarne una efficacia indimostrata e peggio ancora continuare a illudere, con false promesse di stabilizzazione (chi paga? Né lo Stato né le aziende sembrano disponibili, quindi non prendeteci in giro) chi come cocopro e partite iva è tra le maggiori vittime della legge Biagi e soprattutto, degli errori (nel modulare gli incentivi) della Legge Fornero.I politici che si occuperanno di questo argomento, dopo le elezioni, agiscano in maniera semplice e sensata: ascoltino le imprese (non solo Confindustria) , i sindacati (non solo Triplice e UGL) e i consulenti del lavoro così come le agenzie e gli altri protagonisti. Effettivamente, guardando alla validità delle proposte e non inventandosi gerarchie di rappresentatività frutto di fantasia e di strumentalità. Badando alla soluzione concreta dei problemi. Non ci servono più né Ministri né studiosi che continuino a passare alla Storia solo per i danni fatti a lavoratori e pensionati.
Intendiamoci: non è che da Confindustria (che sa solo proporre incentivi, cioè soldi alle imprese, le sue in particolare) e CGIL (che gira e rigira ripropone solo l'assunzione di nuovi dipendenti pubblici anche se si guarda bene dal chiamarli così) vengano indicazioni più valide. Viene da dire: se il vostro livello propositivo è questo, meglio che stiate a case e non facciate patti o accordi sulla nostra schiena.
Certo è che anche la classe sindacale comincia a dare segni di usura e che forse è arrivato il momento di rottamare. Non a caso abbiamo (solo noi) segnalato che già il mondo sindacale ha il suo Porcellum: la rappresentatività così come individuata nell'accordo Confindustria-Sindacati del giugno 2011. Speriamo rimanga solo uno dei tanti protocolli sindacali caduti nel vuoto (delle nostre tasche...) . In conclusione, noi che da tempo critichiamo il mondo accademico per essersi reso corresponsabile delle nefandezze dei politici, non possiamo non sottolineare positivamente, per una volta, un passaggio, che condividiamo in toto (potete andare a rileggervi precedenti nostri articoli) , di un recente intervento del Prof. Michele Tiraboschi sul tema della contrapposizione tra contratto a tempo determinato e indeterminato che da tempo toglie il sonno a leader politici e sindacali senza che riescano a venire a capo di nulla di concreto. Dice il Prof. Tiraboschi: “il dibattito sui contratti stabili e precari dimostra il ritardo culturale del nostro Paese nell'interpretare e costruire il futuro di un'economia e di una società. Il tema vero è il superamento della contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato per costruire uno Statuto di tutti i lavori. Il futuro del lavoro non si gioca più sulle forme contrattuali quanto su autonomia e creatività del lavoro, l'assunzione di rischio e spirito imprenditoriale anche nei lavoratori e, infine ma non ultimo, le competenze. Il mercato del lavoro è fatto con i contratti ma questi creano valore solo se sono veicolo di competenze professionali e base per lo sviluppo di logiche virtuose di produttività tanto a favore delle imprese che dei lavoratori”.

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