Da anni la categoria dei dirigenti è
stata considerata di fatto protetta e super garantita. In particolare
la libera recedibilità non ha mai significato maggiore esposizione
ai licenziamenti. Anzi. Per antonomasia, durante le tempeste
economiche e le crisi produttive, erano sempre coloro che erano sul
ponte della nave (lavoratori manuali e impiegati) ad essere spazzati
via dalle ondate mentre la testa delle aziende, ben riparata in
plancia, la faceva sempre franca. Ebbene, anche questo in Italia è
cambiato, in fretta. Si parla di 10.000 dirigenti che hanno perso il
posto di lavoro nel 2012 , di 60.000 dal 2006.
E' vero che quando ciò accade, dal
punto di vista individuale, si tratta di un dramma non paragonabile,
neppure lontanamente, a quello della perdita del lavoro da parte di
un operaio o di un impiegato. Perchè il dirigente aveva uno
stipendio di diverse volte superiore a quello di sussistenza (ossia a
quello dell'operaio), perchè se, come capita spesso, i lauti
guadagni sono stati investiti in maniera oculata (e i dirigenti hanno
la cultura per farlo) , la riserva di sopravvivenza non si esaurisce
in breve tempo ma può consentire di affrontare con calma la ricerca
di un nuovo posto di lavoro. Perchè, sempre che non si tratti di un
dirigente raccomandato (e quindi più ignorante dei propri
dipendenti) si presuppone che lo stesso abbia una cultura di base e
una professionalità superiore alla norma e quindi spendibile nella
ricerca di un nuovo lavoro.
Ma anche qui qualcosa è cambiato,
facendo precipitare nell'incertezza e nell'inquietudine molti
dirigenti che hanno perso il lavoro e intimorendo, nei confronti
delle rispettive proprietà, quindi rendendo più ricattabili, i
manager che sentono odore di possibile esonero. Ciò nel privato, ma
anche nel pubblico, al netto delle cordate e protezioni politiche,
dato il processo di privatizzazione (seppure all'italiana) dei
rapporti di lavoro, non sono infrequenti accadimenti traumatici
attutiti per lo più però, in conseguenza delle fonti informative
messe a disposizione da parte di chi ti mise su quella poltrona, da
trasferimenti strategici da una Amministrazione all'altra che
implicano la sostanziale stabilità della posizione dirigenziale.
Ovviamente, in questo quadro, nel pubblico, i principi di
trasparenza, efficienza, efficacia e raggiungimento dei risultati
posti, diventano molto, molto relativi. A proposito (lo facciamo in
ogni nostro intervento riguardante la dirigenza pubblica) siamo
ancora in attesa che sui siti istituzionali, oltre alle retribuzioni
tabellari e ai curriculum, vengano non solo riportati i premi
percepiti da ciascuno ma anche , ex post, quali siano stati gli
obbiettivi raggiunti che li abbiano giustificati. Soprattutto
relativamente a quelle Amministrazioni nelle quali i dirigenti, tutti
i dirigenti, prima delle elezioni, sono stati premiati a pioggia. E
sempre per inciso, a dimostrazione che i tempi stanno cambiando,
abbiamo ascoltato con attenzione, successivamente al risultato
elettorale, l'intervento dell'On. Maristella Gelmini (le cui
quotazioni nel PdL stanno salendo vertiginosamente, tanto che oggi di
lei si parla come futuro Vice Presidente del Consiglio del
Governissimo guidato, si mormora , da Matteo Renzi) la quale,
analogamente a quanto fino ad oggi si faceva solo per i calciatori,
ha evidenziato la spropositata retribuzione dei dirigenti pubblici
rispetto ai normali dipendenti (anche questo un nostro vecchio
cavallo di battaglia: non perchè si sia contrari per principio a ciò
ma perchè sono troppo bassi gli stipendi degli altri dipendenti
pubblici e perchè, questo Paese, per un po' di tempo, per
riprendersi, avrà bisogno che, per i propri privilegi, né i
politici né i dirigenti vengano odiati dalla popolazione che vive
ben altra realtà di sacrifici).
Nel privato sono più avanti nella
risoluzione di queste contraddizioni. Chi segue l'attività delle
associazioni di dirigenti nostre concorrenti sa come le stesse da
mesi denuncino il cosiddetto “downgrading”. Ossia la
sostituzione, nell'ambito delle attività “core” dell'impresa del
dirigente con un quadro. Un po' come se nel pubblico (non ci
crederete ma era così fino alla sciagurata riforma del 1993 ) la
stessa attività di direzione fosse svolta da un direttore pagato al
massimo il doppio dell'impiegato o addirittura dal funzionario
apicale (una volta si chiamavano IX livelli) addirittura con uno
stipendio più basso. Non è raro che, a differenza che nel privato,
il patrimonio culturale, il titolo di studio e la professionalità
del dipendente pubblico sia inversamente proporzionale al livello di
appartenenza (è noto, sono proprio i dirigenti più bravi a
ricordarlo nelle loro conferenze, che in una nave il soggetto più
importante è il motorista e non il comandante) e ciò dovrebbe
rassicurare tutti sulla praticabilità, nel settore pubblico, di tale
strada. Nel privato questi processi sono più semplici dato che c'è
il profitto come metro di paragone e supremo giudice delle capacità
esplicate.
Vita più dura, quindi, per il manager
il quale deve ricollocarsi, diventare più flessibile, spesso
accettare un posto di quadro, rischiare di più in aziende più
dinamiche, lavorare in aziende meno strutturate dove è maggiore il
protagonismo e quindi l'invadenza della proprietà e quindi
dell'imprenditore che, rimettendoci di suo, va poco per il sottile.
Rimane l'estero? Magari. I nostri dirigenti non sono ancora
sufficientemente competitivi a livello europeo o mondiale (si
intende: nel mondo sviluppato). In Italia abbiamo però la cara,
vecchia Pubblica Amministrazione in cui è possibile, entrando nelle
grazie di qualche politico o padrino ministeriale, agguantare una
poltrona, apparentemente a tempo determinato, spesso, di fatto, a
vita. In teoria dovrebbe esserci un flusso bidirezionale in campo
dirigenziale, tra pubblico e privato. In realtà è unidirezionale:
dal privato al pubblico (o finto pubblico) con biglietto di sola
andata.
Con costi tuttavia insopportabili e
crescenti per il contribuente. Tanto che si teme l'arrivo anche lì
dello tsunami. Che fare? Aspettare o ribellarsi a questo assetto
iniquo, alleandosi con i cittadini, dimostrando che il dirigente
pubblico è innanzitutto un servitore dello Stato? E cosa c'entrano
con lo Stato e la Costituzione comportamenti arbitrari e illegali che
rileviamo da anni nella P.A.? Nulla evidentemente e vanno combattuti.
Ma non da tutti indistintamente ma , sarebbe ora, da chi casualmente
si trova in prima linea, strettamente a contatto con il malaffare
amministrativo. Una pubblica Amministrazione in queste condizione ha
già effetti letali per molta parte della popolazione. Vogliono i
dirigenti collaborare con questa ingiustizia criminale o essere i
protagonisti del cambiamento? Hanno solo un modo di fare ciò.
Diventare obiettori di coscienza, denunciare i misfatti della classe
dirigente , essere i primi a fare pulizia all'interno delle loro
amministrazioni disobbedendo a chi vorrebbe farne strumento della
prevaricazione. Prima che sia troppo tardi e che l'ira popolare
spazzi tutto via.
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