Come noto, non è emerso un vero
vincitore dalle elezioni italiane. Là dove, su specifici temi, tra
uno schieramento e l'altro ,vi erano sensibili differenze, ciò
dovrebbe essere di conforto per chi temeva, trattandosi di rimedi
tutti peggiori del male, che un punto di vista avesse prevalso
sull'altro. Un esempio è quello delle politiche del lavoro. Chi
avreste buttato giù dalla torre tra i Ministri del Lavoro in
pectore, ognuno di un diverso schieramento? Ossia tra
Sacconi/Cazzola, Ichino/Fornero, Dell'Aringa/Damiano/Vendola, x/y
(grillini)? Poiché siamo contro le soluzioni violente avremmo
preferito buttarci noi, per non spargere sangue altrui. Ma il bello è
ora che per arrivare a un compromesso è possibile che un dato
schieramento, pur di non perdere il governo, sia disposto ad adottare
le tesi lavoristiche dell'altro schieramento. Facile, se si pensa che
si tratta di soluzioni inadeguate, irrealizzabili o fallimentari.
Diciamo che anni di esperienza , anche recente, ci hanno sicuramente
indicato cosa non fare. E' implicito che la verità sia in
comportamenti differenti. Quali?Adesso non chiedeteci troppo. Anche
perchè nelle politiche del lavoro si potrà fare qualcosa di valido
a condizione che già si siano fatte altre cose, apparentemente
distanti dall'ambito di competenza del Ministero di Via Flavia. Primo
criterio: mandiamo in vacanza (una volta si parlava di anno
sabbatico) tutti i giuslavoristi italiani (che non hanno scuse perchè
o hanno fatto i ministri o ne erano i bracci destri). Facciamo a meno
di loro in quanto i risultati raggiunti dalle riforme tentate dagli
anni novanta ad oggi ci hanno dimostrato che questi scienziati ancora
hanno tanto da studiare (soprattutto la realtà del mondo del lavoro)
e in queste condizioni fanno solo danni. Se gli ingegneri si
dimostrano incapaci forse sarà il momento di dare un po' di spazio
ai geometri: non si sa mai che riescano ad indovinarci. Poi: evitiamo
di creare nuovi equilibri, tra una forma e l'altra di lavoro,
operando sulla dialettica più costi/meno costi, svantaggi/vantaggi.
E' il mercato del lavoro (di solito più veloce di chiunque altro) a
stabilire, a posteriori la validità dell'una o dell'altra soluzione.
In genere quella che vince è la soluzione più semplice, meno
burocratica e meno foriera di tasse variamente travestite. Ecco,
questo crediamo potrà essere il vero merito storico della riforma
Fornero: costituire in un certo senso la Bibbia di tutto quello che
non va fatto sul lavoro, un gigantesco ed insuperabile esempio in
negativo che in quanto tale è perfetto come un opera d'arte e sarà
studiato dai posteri. Chiedere ai consulenti del lavoro per averne
conferma. Altra cosa da non fare: attribuire valore al lavoro stabile
e disvalore al lavoro non stabile. Abbiamo già detto più volte che
vanno considerate con il massimo rispetto le esigenze di chi ha o ha
avuto il posto fisso e si aspetta di mantenerlo fino ad una pensione
che sia più dignitosa di adesso così come di coloro che sono in
debito con la società (pensiamo ai precari della scuola) per aver
fatto parte, loro malgrado, di una umanità sfortunata in cui sono
stati illusi da un miraggio, quello appunto, del posto fisso. Queste
fasce di popolazione non vanno punite ma accompagnate verso un
miglioramento, graduale , della loro condizione. Sarà difficile
(sappiamo quale peso abbia il debito pubblico) ma va fatto
innanzitutto per un principio di dignità. Ma arriverà il momento (e
su questo dobbiamo deciderci a voltare pagina) che nella società
italiana non esistano più i termini “posto fisso” e “lavoro
precario” così come oggi intesi. Quella è la direzione verso cui
andare, certo, gradualmente. Un lavoratore quindi che abbia sempre
una fonte di reddito anche nei periodi di passaggio, la possibilità
di cambiare serenamente il lavoro più volte nella sua vita, di fare
carriera, di formarsi, di migliorare. Sia nel pubblico che nel
privato. E questo, in un prossimo futuro dovrà valere per tutti.
Perchè l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul posto
di lavoro. Parimenti non dovrà esistere più di fatto il concetto di
precario sinonimo di ricattato, malpagato e sfruttato e senza
prospettive di serena esistenza. Su questa, che è innanzitutto una
battaglia culturale, constatiamo che nessuno è impegnato seriamente.
Male, poiché significa che si stanno difendendo rendite di posizione
o si sta sfruttando la disperazione delle fasce più marginali del
mondo del lavoro. Di solito per guadagnarci sopra . E, soprattutto
ora, per fini elettorali. Analoga apertura mentale è ora sia
adottata sulla questione pensioni. Qui notiamo passi in avanti
rispetto alle appena ricordate contraddizioni relative ai lavoratori
attivi. Si è giustamente seguita l'indicazione di rapportare l'età
pensionabile alla aspettativa di vita. Ancora non si è fatto nulla
(anzi si è registrato un peggioramento) nel comprendere che
l'attuale meccanismo non va più bene (e sarà sempre peggio) per
poter assicurare un livello di vita sufficiente ad ogni singolo
pensionato. Anche qui paghiamo l'eccessivo credito dato in questi
decenni agli scienziati pazzi. Ma prima o poi la situazione esploderà
e come accade occorrerà mettersi a correre per evitare di
sprofondare nella voragine e per fare in pochi secondi quel che ci si
è rifiutati di fare per anni. Non è questa la sede per trattare col
giusto approfondimento temi così delicati ma , intuitivamente, chi
volesse mettersi seriamente a studiare per sciogliere questo nodo non
potrebbe prescindere dall'affrontare alcuni tabù che prima o poi
verranno infranti. Il primo è quello dei cosiddetti diritti
acquisiti. E' la giustificazione oggi più forte alle peggiori
schifezze tuttora presenti nella giungla pensionistica. E, temiamo,
sia una giustificazione strumentale, interessata e non più
tollerabile. Così come avviene per esigenze di ordine pubblico, è
bene si cominci a pensare a leggi eccezionali anche per abbattere
privilegi pensionistici non più sopportabili per la gran massa della
popolazione. Dobbiamo deciderci cioè se questo paese lo vogliamo
salvare o no. Poi, collegato a quanto appena detto e alla vicenda
esodati , forse è arrivato il momento di pensare di trovare dei
rimedi per cui anche chi ha maturato il diritto alla pensione possa
se lo vuole e non rimettendoci tornare nel mondo del lavoro regolare
(e non solo di quello nero come oggi accade). Ripetiamo, possono
apparire affermazioni scandalose e dissacratorie, ma sarà ciò di
cui si parlerà quando si accorgeranno che non ci sono più soldi per
venire incontro a tutti gli esodati. Non date retta a chi vende
analisi interessatamente confuse: non esiste concorrenza tra vecchi e
giovani, non esiste mancanza di lavoro indotta dalla crisi . La
realtà vera è che la concorrenza c'è tra chi ha voglia di lavorare
e mettersi in gioco e chi ha un atteggiamento passivo. E che la crisi
di lavoro è la crisi di creazione di posti fissi. Chi conosce la
realtà sa che è così e il rifiuto dei partiti e dei sindacati di
accettare questa verità deriva dal fatto che questo meccanismo, se
liberato, provocherebbe l'inutilità della macchina burocratica, dei
posti assegnati in maniera clientelare, dell'assistenzialismo e del
parassitismo (politico e sindacale). Altro tabù da abbattere sarà
quello delle retribuzioni. L'art. 36 della costituzione è inadeguato
e irrealistico. Così come l'apparato dei CCNL. Occorre, siamo in
emergenza, che venga posto un tetto alle retribuzioni massime e
vengano innalzate quelle minime ossia i salari e gli stipendi dei
lavoratori e le pensioni degli anziani. E che venga assicurato un
reddito minimo a chi momentaneamente non lavora. Dove si trovano i
soldi? Basterà fare un gigantesco sondaggio in rete a costo zero
perchè i riflettori si accendano su situazioni di privilegio e
spreco di cui giornali e TV spesso non parlano. Basta volerlo. Da
ultimo , un consiglio: non fidatevi di economisti e giuslavoristi
falliti, personaggi tragicomici che o portano sfiga o fanno la figura
patetica di meteorologi che non azzeccano mai il tempo che farà.
Noterete che in questi giorni scrivono a iosa bocciando alcune
proposte innovative che finalmente hanno avuto una consacrazione
elettorale. I poverini non hanno capito che l'adozione del “ceteris
paribus” nel calcolare gli effetti di ipotizzate novità è
inadeguata all'esigenza di porre mano a situazioni nelle quali
diversi fattori devono cambiare contemporaneamente. Questi signori
non sono altro che i catastrofisti del giorno dopo, quelli chiamati a
rimediare al fallimento dei menagrami e delle cassandre del giorno
prima che non sono stati sufficientemente bravi nel mantenere la dote
di consenso elettorale ai partiti che gli assicurano lo stipendio.
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